Sibilla Barbieri, alla quale era stato negato l’aiuto a morire a Roma, è morta in Svizzera accompagnata dal figlio e da Marco Perduca.

Il figlio di Sibilla Barbieri e Marco Perduca, che ha partecipato all’accompagnamento, annunciano: “Domani, l’autodenuncia del viaggio e la famiglia denuncia la sanità del Lazio”

Martedì 7 novembre, l’autodenuncia avverrà a Roma, presso la Stazione dei Carabinieri “Vittorio Veneto” in via Barberini 1, alle ore 10:30. Saranno presenti anche Marco Cappato, responsabile legale dell’Associazione Soccorso Civile, e Filomena Gallo, legale difensore e Segretaria nazionale dell’Associazione Luca Coscioni

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Dopo essersi autosomministrata il farmaco letale in una clinica svizzera, Sibilla Barbieri ha potuto vedere le sue volontà rispettate. Sibilla Barbieri era paziente oncologica terminale e Consigliera generale dell’Associazione Luca Coscioni, e a seguito del diniego della sua ASL era stata costretta ad andare all’estero per poter ricorrere all’aiuto medico alla morte volontaria.

La richiesta alla ASL romana era stata inviata ad agosto perché Barbieri aveva tutti i requisiti previsti dalla sentenza n. 242/19 della Corte costituzionale e quel diniego è ingiusto e crudele per potersi addormentare nella sua casa romana.

Dopo le verifiche effettuate a metà settembre a seguito di una diffida, l’azienda sanitaria aveva comunicato alla donna, assistita dai legali dell’Associazione Luca Coscioni, il diniego motivato dal fatto che non possedeva tutti e 4 i requisiti previsti dalla sentenza Cappato\Antoniani della Corte costituzionale per poter accedere legalmente alla morte volontaria assistita (1. che la persona sia capace di autodeterminarsi, 2. affetta da patologia irreversibile, 3. che tale malattia sia fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che la persona reputi intollerabili e 4. che sia dipendente da trattamenti di sostegno vitale). In particolare l’équipe medica ha ritenuto che alla donna mancasse il requisito della dipendenza da trattamento di sostegno vitale.

Sibilla Barbieri era invece dipendente da ossigenoterapia e da farmaci per il dolore che, se interrotti, avrebbero portato velocemente a una morte dolorosa.

Sibilla Barbieri è stata accompagnata in Svizzera dal figlio e da Marco Perduca, già senatore radicale, dell’Associazione Luca Coscioni e iscritto all’Associazione Soccorso Civile, che a oggi conta oltre 50 persone pronte ad assumersi il rischio di conseguenze penali per aiutare persone malate a porre fine alle proprie sofferenze. Il figlio e Perduca rischiano fino a 12 anni di carcere. Martedì mattina si autodenunceranno presso i Carabinieri (Comando Stazione Roma Vittorio Veneto, Via Barberini, 1) alle ore 10.30 circa. Anche Marco Cappato, si autodenuncerà in quanto legale rappresentante dell’Associazione Soccorso Civile che ha organizzato e sostenuto il viaggio di Sibilla Barbieri.

Ad accompagnarli Filomena Gallo, legale difensore e Segretario Nazionale dell’Associazione Luca Coscioni e coordinatrice del collegio legale di studio e difesa composto anche dagli avvocati Marilisa D’Amico, Tullio Padovani, Francesca Re, Irene Pellizzone, Benedetta Liberali, Stefano Bissaro, Francesco Di Paola, Massimo Clara, Rocco Berardo, Alessia Cicatelli, Guido Stampanoni Bassi, Roberto D’Andrea, Massimo Rossi, Iole Benetello, Maria Elena D’Amico e Angelo Calandrini.

Dichiara l’Avvocata Filomena Gallo:

Con il team legale che coordino abbiamo seguito Sibilla Barbieri sollecitando l’ASL Roma 1 a effettuare le verifiche sullo stato di salute della nostra assistita e a procedere come indicato dalla sentenza di incostituzionalità della Corte costituzionale sul caso Cappato/Antoniani.

I dirigenti dell’azienda sanitaria hanno predisposto le verifiche e inviato un diniego di accesso all’aiuto alla morte volontaria perché, secondo una Commissione Aziendale istituita ad hoc, la persona malata non dipendeva da trattamenti di sostegno vitale”.

Al diniego non era allegata la relazione medica e neppure il parere del Comitato etico competente, documenti che avevamo richiesto. Dopo avere verificato con il dottor Mario Riccio la documentazione medica che Sibilla Barbieri aveva prodotto, è emerso che invece Barbieri era sottoposta a plurime forme di sostegno vitale. Motivo per cui abbiamo presentato opposizione al diniego, informando i dirigenti dell’azienda sanitaria che la nostra assistita aveva intrapreso anche la procedura per andare in Svizzera, ma che avrebbe voluto concludere i suoi pochi giorni con i suoi cari in Italia.

Non vi è stata nessuna risposta da parte dei dirigenti ASL. Solo venerdì 3 novembre (quando Sibilla Barbieri era già morta), abbiamo ricevuto il parere del Comitato Etico che conferma la sussistenza per Sibilla Barbieri dei requisiti indicati dalla Corte costituzionale mentre apprendiamo dal verbale della Commissione Aziendale che non possono aderire al parere positivo del Comitato Etico in quanto ritengono che non vi sia il trattamento di sostegno vitale e spiace e mortifica leggere perfino ‘che le condizioni attuali non sono coerenti con sofferenze fisiche intollerabili’.

Sibilla Barbieri ha deciso di andare in Svizzera per porre fine alle sue sofferenze.

 ➡ Approfondimento: L’accesso alla morte assistita in Italia

In assenza di una legge nazionale che regolamenti l’aiuto alla morte volontaria, ovvero l’accesso al suicidio assistito, in Italia questa scelta di fine vita è regolamentato dalla sentenza numero 242 del 2019 della Corte costituzionale sul caso Cappato\Antoniani, che ha legalizzato l’accesso alla procedura ma solo a precise condizioni di salute delle persone da verificare con modalità indicate dalla Corte, in assenza delle quali si applica il precetto penale senza le modifiche introdotte dal giudicato costituzionale.

La Consulta ha disposto, con una sentenza di incostituzionalità parziale dell’articolo 580 del codice penale, che la persona malata che vuole accedere all’aiuto alla morte volontaria (suicidio assistito) deve essere in possesso di determinati requisiti: che sia capace di autodeterminarsi, affetta da patologia irreversibile, che tale malattia sia fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che la persona reputi intollerabili e che sia dipendente da trattamenti di sostegno vitale.

Questi requisiti, insieme alle modalità per procedere, devono essere verificati dal Servizio Sanitario Nazionale con le modalità previste dalla legge sulle Dat agli articoli 1 e 2 (Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento, 219/17), previo parere del comitato etico territorialmente competente.

 ➡ Approfondimento: La proposta di legge regionale Liberi Subito

Nonostante la possibilità di ottenere questo tipo di aiuto, il Servizio Sanitario non garantisce tempi certi per effettuare le verifiche e rispondere alle persone malate che hanno diritto di porre fine alla propria vita. Così le persone che intendono interrompere la propria vita rimangono in attesa di ASL e Comitati Etici territoriali che, per svolgere le loro funzioni di verifica delle condizioni, possono impiegare mesi. Un tempo che molte persone che hanno bisogno di essere aiutate a morire non hanno. Per questo, nel rispetto delle competenze territoriali, l’Associazione Luca Coscioni ha promosso a livello nazionale la campagna Liberi Subito con raccolta firme per proposte di legge regionali che garantiscano il percorso di richiesta di suicidio medicalmente assistito e i controlli necessari in tempi certi, adeguati e definiti.

Finora, l’Abruzzo, Veneto, Emilia Romagna e Toscana, hanno ritenuto che le norme contenute nella proposta di legge rientrino nelle loro competenze e siano rispettose della Costituzione italiana. Oltre a queste anche Sardegna, Puglia e Marche hanno depositato la proposta di legge regionale, ma tramite l’iniziativa di alcuni consiglieri regionali, così da rendere non necessaria la raccolta firme. Analoga proposta verrà depositata in Basilicata e Lazio, grazie all’azione dei Comuni. Piemonte e Friuli Venezia Giulia invece hanno visto il deposito della proposta popolare ma attendono ancora l’ammissibilità. Nelle prossime settimane raccolte firme analoghe partiranno in Toscana e Lombardia.

QUI lo scenario nazionale completo.

 ➡ Gli altri casi in Italia: i discriminati, le disobbedienze civili di Marco Cappato e dell’Associazione Soccorso Civile

Anna, affetta da sclerosi multipla dal 2010, dopo undici mesi di attesa può accedere alla morte volontaria assistita. È la prima cittadina friulana, la quinta persona in Italia

Sono cinque gli italiani che hanno ricevuto il via libera per la morte volontaria assistita in Italia con il supporto dell’Associazione Luca Coscioni: Federico Carboni (nelle Marche) e la signora Gloria (in Veneto), che in seguito hanno confermato la propria volontà ricorrendo alla tecnica. Mentre Stefano Gheller (in Veneto) e Antonio (sempre nelle Marche) e la signora “Anna” (in Friuli Venezia Giulia) dopo il “semaforo verde” da parte del Comitato etico sono ora liberi di scegliere il momento più opportuno per confermare le proprie volontà o eventualmente attendere o modificare le proprie intenzioni iniziali.

Oltre a loro, numerosi invece, perché potenzialmente discriminati dalla sentenza della Corte costituzionale, sono i connazionali ancora costretti a emigrare in Svizzera, tra quelli assistiti da Marco Cappato e i “disobbedienti civili” iscritti a Soccorso Civile. Oltre a Sibilla Barbieri si ricordano Elena (Veneto), Romano (Lombardia), Massimiliano (Toscana) e Paola (Emilia-Romagna), le cui condizioni di “dipendenza da trattamenti classici intesi di sostegno vitale” potrebbero essere potenzialmente riconducibili a una interpretazione restrittiva della sentenza della Consulta.

Motivo per cui dopo l’aiuto fornito da Marco Cappato, Felicetta Maltese, Chiara Lalli, Virginia Fiume, assistiti dall’Avvocata Filomena Gallo e dal collegio legale dell’Associazione Luca Coscioni, hanno esposto i fatti alle autorità competenti, affinché la magistratura chiarisca se l’aiuto fornito a queste persone malate rientra nell’area di non punibilità previsto dalla Corte costituzionale con la sentenza Cappato. I tribunali coinvolti stabiliranno se la condizione di queste persone malate siano elementi che rientrano nell’area di non punibilità definita con sentenza 242/19 della Corte costituzionale.

Altri poi vorrebbero accedere alla morte volontaria assistita e sono in attesa della verifica delle condizioni, ma son finiti intrappolati nelle sabbie mobili delle lungaggini burocratiche e vittime del reato di “tortura” da parte dello Stato (attualmente è nota la vicenda di Laura Santi in Umbria) e costretti a un interminabile percorso nei tribunali contemporaneo e direttamente proporzionale a un peggioramento delle condizioni di salute.

Infine vi sono casi come Fabio Ridolfi e Giampaolo costretti a rinunciare al lungo e faticoso percorso scegliendo loro malgrado il ricorso alla sospensione delle terapie e una lenta morte sotto sedazione profonda con distacco della nutrizione e dell’idratazione, un epilogo che non avrebbero desiderato.