Una super-colla per i ricordi

La Stampa
Piergiorgio Montarolo

L’organismo è una macchina che utilizza con grande efficacia l’energia che si procura con il nutrimento. Di solito la funzione di «guardiano della spesa» viene svolta dal sistema nervoso. Così come si ottimizza l’uso di energia quando si esegue un lavoro muscolare, allo stesso modo il nostro corpo è parsimonioso quando svolge altre attività come, per esempio, imparare e ricordare. Apprendere, infatti, costa fatica. Questo lo sanno non solo gli studenti che devono ricordare nozioni «scolastiche», ma anche e soprattutto coloro che imparano movimenti nuovi, come suonare uno strumento musicale. Anche in occasioni di questo tipo vige la regola di non consumare oltre lo stretto necessario.

Una ricerca italiana appena pubblicata sulla rivista «Nature» spiega come avviene tutto questo. Lo studio – al quale hanno collaborato Pico Caroni del Miescher Institute di Basilea, il gruppo coordinato da Piergiorgio Strata dell’Istituto Nazionale di Neuroscienze e Benedetto Sacchetti del dipartimento di neuroscienze dell’Università di Torino – rivela, infatti, come la memoria fugace a breve termine può diventare a lungo termine attraverso un processo che viene definito «consolidamento» e che si completa in alcuni giorni. Le tracce dei ricordi «brevi» vengono elaborate selezionando dal contenuto quanto è significativo e importante e la selezione viene quindi inviata in altri centri che costituiscono il «magazzino» a lungo termine. Il lavoro descrive per la prima volta i cambiamenti che avvengono nell’ippocampo e nel cervelletto durante questa fase di trasferimento.

Oggi si ritiene che l’impalcatura strutturale del ricordo consista nella modificazione morfologica delle sinapsi, i contatti specializzati nella trasmissione dell’informazione tra due cellule nervose: una frase, un volto, una sensazione viene sistemata in un circuito più o meno complesso, nel quale, durante l’apprendimento, si formano nuovi contatti sinaptici e, allo stesso tempo, ne scompaiono di vecchi.

È un’esperienza comune che quanto più dura la fase di apprendimento tanto più il ricordo è preciso e accurato. Ma in che cosa consiste, dal punto di vista neurobiologico, un ricordo preciso o un movimento ben appreso, che può essere eseguito con il minimo sforzo? Pensiamo al movimento scoordinato delle dita di un pianista alle prime armi e poi paragoniamolo a quello elegante e spontaneo di un professionista affermato: le dita volano sulla tastiera in modo preciso e straordinariamente efficiente. Ora il lavoro realizzato degli scienziati di Basilea e Torino ci aiuta a capire proprio che cosa accade nel passaggio dal ricordo impreciso e incompleto a uno nitido ed esatto.

Una qualunque informazione – sia visiva, sonora, gustativa oppure emozionale – nel corso del processo di apprendimento viene codificata e inviata a una serie di strutture nervose a cui si dà il nome di «magazzino a breve termine». Nella maggioranza dei casi l’informazione è inizialmente ridondante, accompagnata da un «rumore di fondo», vale a dire da qualcosa di ciò che si sta imparando che non è pregnante rispetto al ricordo stesso: è chiaro, perciò, che il «rumore di fondo» deve essere eliminato. Lo sfrondamento avviene durante la fase di «consolidamento» e qusta operazione costituisce parte integrante del processo.
Secondo lo studio pubblicato su «Nature», l’affinamento si attua sia nella corteccia cerebellare che nell’ippocampo. E’ in queste due strutture cerebrali che durante la fase di acquisizione dell’informazione si assiste ad un rimaneggiamento di sinapsi eccitatorie, requisito fondamentale perché l’informazione venga acquista dai circuiti della memoria. Tuttavia in questo periodo iniziale di apprendimento si formano anche sinapsi eccitatorie in eccesso. L’opera di sfoltimento avviene in un secondo momento per opera di piccoli circuiti inibitori.

I ricercatori, infatti, hanno osservato che a carico di quei circuiti che esercitano una funzione inibitoria si osserva una vistoso incremento, che, poi, scema lentamente man mano che l’opera di sfrondamento diventa sempre meno necessaria: sono questi che selezionano il contenuto che deve essere conservato.
Un esempio sono le memorie legate alla paura: una singola esperienza è sufficiente a lasciare una traccia permanente molto intensa, mentre i nuovi circuiti inibitori persistono per pochi giorni prima di scomparire. Per i fenomeni di memoria spaziale o di memoria di abilità motorie che richiedono esperienze ripetute nel tempo, invece, i circuiti permangono più a lungo e scompaiono nell’arco di alcune settimane.

Queste ricerche sono una significativa dimostrazione del fatto che il sistema nervoso non è una macchina costruita per ricordare indiscriminatamente tutto ciò che si affaccia nell’ambiente che ci circonda. L’individuo, infatti, non trae alcun vantaggio nel ricordare tutto in maniera precisa come in una fotografia. Anzi. E’ il contrario. Ci sono alcune patologie psichiatriche – come gli stati d’ansia generalizzata, le fobie e i disturbi post-traumatici da stress – che verosimilmente traggono origine proprio da un’incapacità del sistema nervoso di filtrare da una serie di elementi negativi l’informazione che si sta consolidando.