<B>19 Luglio 2003</b> – Nel momento in cui il disegno di legge in materia di procreazione medicalmente assistita, approvato dalla Camera il 18 giugno 2002 ed ora all'esame del Senato, sta in dirittura d'arrivo, dopo vari decenni di tentativi per arrivare ad una auspicata disciplina, appare inopportuno sollevare difficoltà, e tanto meno criticare un testo così faticosamente concordato fra i parlamentari che avevano a suo tempo presentato svariate proposte. Si è invece raggiunto un traguardo che sembrava quasi impossibile di fronte a correnti ideologiche tanto distanti tra loro; le quali hanno dovuto accantonare richieste formulate da una parte e dall'altra pur di ottenere una normativa-base su una materia che veniva da tempo qualificata come il far west. Sarebbe facilmente prevedibile che se nella discussione al Senato si chiedesse ad esempio l'ammissibilità della fecondazione eterologa o quella di donne singles, altri parlamentari proporrebbero di controbilanciare con l'inammissibilità della fecondazione assistita fra non coniugati o l'introduzione dell'adozione prenatale come alternativa all'aborto.
Se pertanto c'è da augurarsi che, almeno per ora, si riesca a varare questo testo senza riaprire la stura a diatribe o a nuove proposte, non appare eccessivamente pericolosa la possibilità di ritoccare il testo con miglioramenti meramente formali (c.d. «tecnici»); cioè quelli che, lasciando immutata la linea sostanziale finora concordata, evitino qualche incertezza emergente dall'attuale formulazione. Altrimenti questi dubbi si ripresenterebbero in sede applicativa della legge, col conseguente disorientamento degli operatori, liti giudiziarie, ricorsi alla Corte costituzionale e riapertura di un completo riesame dinanzi al Parlamento.
Si consideri a titolo esemplificativo quanto risulta dall'attuale testo sul problema della surrogazione, cioè del grave problema d ell'«affitto dell'utero», sul quale non è stato difficile trovare un comune orientamento negativo di tutti i parlamentari. Ebbene, questo divieto non sembra risultare in modo specifico. È vero che in ben tre punti (art. 4, terzo comma, art. 9 primo comma e art. 12, primo comma) si prevede il divieto di tecniche procreative di tipo eterologo, ma sempre con riferimento all'utilizzazione di «gameti di soggetti estranei alla coppia richiedente». Dal che qualche interprete potrebbe ritenere esclusa l'ipotesi di donna che ha prestato il suo utero per l'impianto di un embrione formato in vitro con i gameti della coppia richiedente. È vero altresì che la parola surrogazione si ritrova nel testo del disegno di legge (art. 12, sesto comma), ma la formulazione si presta al dubbio che venga sanzionata soltanto la «commercializzazione» della surrogazione, non anche quella realizzata gratuitamente.
Sempre in tema di surrogazione, sorge un'altra perplessità circa la identificazione della madre legale (che pur deve esserci anche se il figlio sia nato con illegittime modalità). Ci si chiede cioè: l'espressione usata nell'art. 8 del testo («i nati a seguito… hanno lo stato di figli… della coppia che ha espresso la volontà di ricorrere…») ha (o no) forza derogatoria della norma dell'art. 269 del cod. civ. che identifica la madre nella donna che ha partorito?Ed è sufficiente quella «volontà di ricorrere alle tecniche di procreazione assistita» per escludere la maternità della donna surrogata anche quando essa abbia offerto, non solo l'utero, ma pure l'ovulo?
Poiché sono facilmente immaginabili le dispute che potrebbero sorgere nel caso di donna surrogata che volesse essere riconosciuta come madre anche legale, si rivela l'opportunità che sia il legislatore a dover esprimersi più chiaramente.
<i>di Fernando Santosuosso</i>