Sono una decina di centri iperspecializzati, che ora si piazzano in pole position in Europa, rilanciati dal voto con cui giovedì scorso il Parlamento di Strasburgo ha finanziato queste ricerche.
Nell’ordine: il San Raffaele e il Policlinico di Milano, l’Ospedale civile di Bergamo, il San Gerardo di Monza, la celebre ‘banca degli occhi’ di Venezia specializzata nelle cornee, l’Umberto I e l’università di Tor Vergata a Roma. Fra poco a questo gruppetto si aggiungeranno (sono in via di autorizzazione e stanno costruendo le strutture) il Rizzoli di Bologna, l’Università di Perugia, l’Ismett di Palermo e il Regina Margherita di Torino.
Sono tutti istituti pubblici, e in diversi casi nei reparti diagnostici si stanno già applicando le staminali per scopi terapeutici, nei tre settori degli occhi (appunto le cornee), del midollo e della cute.
In tutti i centri le notizie da Strasburgo sono state accolte con entusiasmo. «Non ci sono mai stati tanti soldi per la ricerca, è un momento storico», commenta per esempio Giuseppe Novelli, docente di genetica a Tor Vergata. «Ma è anche una notizia aggiunge subito che accentua la contraddizione italiana». Quale contraddizione?
E’ a questo punto la chiave di lettura per valutare le possibilità per l’Italia di giocare un ruolo di primo. Nel nostro paese esiste infatti il divieto a qualsiasi intervento sugli embrioni sancito dalla legge 40, quella sulla fecondazione. Tutte le ricerche citate si svolgono sulle staminali adulte, o tutt’al più su quelle fetali.
Invece nel mondo si sta concentrando l’attenzione su quelle embrionali, totipotenti perché in grado di differenziarsi in una qualunque cellula dell’organismo e di proliferare molto rapidamente, una volta ‘indirizzate’ in laboratorio verso questo o quel tessuto e trovato il modo per guidarne la riprogrammazione.
E’ com’è noto una vicenda sofferta in cui entra come decisivo il fattore religioso. Ma Novelli spiega: «Io insegno anche all’Università di Little Rock nell’Arkansas: lì non è che non esistano i fondamentalisti cattolici, anzi. Eppure trovano il modo, fermi restando tutti i paletti dettati dal buon senso e dall’etica, di portare avanti ricerche cruciali in questo settore». Giulio Cossu, direttore dell’Istituto di ricerca sulle cellule staminali del San Raffaele, aggiunge: «Non bisogna farsi eccessive illusioni sulle capacità di queste cellule di risolvere qualsiasi problema, dal Parkinson alle altre malattie neurodegenerative, ma abbiamo il dovere di dare alla ricerca almeno la possibilità di esplorare questa strada».
Cossu ha legato il suo nome, con una pubblicazione su Science nel 2003, alla prima applicazione sperimentale di staminali nella lotta alla distrofia muscolare. Sui topini da laboratorio le cellule passarono attraverso il circuito sanguigno e stimolarono la produzione di nuove fibre muscolari, stavolta sane.
Oggi sono in corso applicazioni sperimentali per la sclerosi multipla, l’insulina pancreatica, il miocardio. «E’ necessario spiega Cossu molto lavoro prima di poter stabilire quale tipo di cellula staminale sia da preferire per una data patologia. Ma alla scienza deve essere consentito di esplorare nuove strade sgombrando il campo da posizioni pregiudiziali e falsi ideologici, come l’idea che prelevando le cellule dall’embrione si uccide l’embrione stesso. Non è affatto vero».
Oltretutto a noi sarebbe dato di intervenire
sugli embrioni congelati, i ‘sovrannumerari’ che finiscono per estinguersi naturalmente». Dall’America intanto arriva un’altra notizia importante che potrebbe modificare i giochi: la scoperta di Nanog (il nome della mitica terra celtica dove si restava sempre giovani), un gene in grado di retrodatare le staminali adulte riportandole in pratica allo stato embrionale e quindi totipotente. Si supererebbe finalmente il problema della sperimentazione sugli embrioni, o perlomeno lo si renderebbe limitato nel tempo in attesa appunto di Nanog.