Perchè alla bioetica serve ancora un Comitato Nazionale

Lucetta Scaraffia

bioeticaIn questa settimana Il Riformista -a differenza degli altri giornali – ha dedicato attenzione alla brusca fine a cui sembrava costretto il Comitato nazionale di bioetica, che certo si sapeva in fase terminale, ma che pensava di avere davanti ancora qualche mese, almeno fino ad agosto, per terminare di discutere una serie di pareri elaborati nei gruppi di lavoro, ma che attendevano ancora di essere discussi in sessione plenaria.

In realtà, il pericolo di una fine improvvisa, nel mese di maggio, sembra ora scongiurato, e i lavori potranno essere portati a termine, ma questo fatto è stato occasione per una riflessione sul Comitato stesso, sia in generale, cioè sulla necessità della sua esistenza istituzionale, sia in particolare, sul lavoro fatto da questo Comitato nei quattro anni circa della sua decorrenza. I temi in discussione sono sempre gli stessi: se cioè i membri del Cnb debbano essere scelti fra saggi, preferibilmente scienziati, lontani dalla politica o se, dal momento che le questione bioetiche sono diventate centrali nella vita politica, questi problemi debbano essere affrontati da una assemblea sostanzialmente politica.

La realtà dell’ attuale Comitato, e di quelli che l’ hanno preceduto, è una sorta di mediazione fra le due esigenze: se sono presentate tutte le diverse posizioni – laici e cattolici, ma anche le sfumature interne agli schieramenti – e quindi si può considerare una assise "politica" perché si tratta di schieramenti che hanno le rispettive corrispondenze all’interno degli schieramenti politici, i membri vengono scelti anche per competenza ed esperienza professionale. Rompere questo schema di difficile equilibrio, per realizzare uno solo dei due possibili modelli di selezione, mi sembra profondamente sbagliato. Anche perché il Comitato ha una precisa funzione consultiva della politica, e quindi non avrebbe senso se costituisse solo una fotocopia delle logiche parlamentari.

Serve infatti una assise che rifletta e offra il frutto di tali riflessioni ai politici, che poi, certo, le leggeranno in funzione dei loro schieramenti, delle posizioni del loro elettorato, ma almeno con una maggiore consapevolezza della posta in gioco. E dispiace, a questo proposito, che i governi – di Romano Prodi prima, di Silvio Berlusconi poi – abbiano fatto così poco ricorso a questa consulenza, quasi non ne avessero bisogno, anche se si sono trovati ad affrontare problemi bioetici di una certa gravità, come il caso Welby e il caso Englaro, ad esempio. Certo, ormai sappiamo che le questioni bioetiche stanno al centro delle contrapposizioni politiche, e quindi vediamo che gli schieramenti si muovono in un senso o nell’altro meccanicamente, quasi per riflesso pavloviano, come se non fosse più necessario ripensare ogni volta la questione, approfondire il problema. Invece, le questioni in gioco sono così gravi e importanti da rendere indispensabili luoghi di discussione dove affrontare problemi quasi sempre inediti, difficili da capire, che comportano conseguenze che non è immediato comprendere. Non è un caso che ormai quasi tutti i Paesi del mondo si siano dotati di un comitato di questo tipo, e gli affidino il compito di preparare le questioni che poi avranno una soluzione politica.

E per fare questo non servono solo gli scienziati, certo utili anche per le loro competenze in materia, e neppure solo gli specialisti di bioetica: si tratta di questioni talmente importanti, che possono cambiare la vita umana, il modo di concepire gli esseri umani e le loro condizioni di vita, e che quindi interessano tutti, che devono essere discusse anche – se non soprattutto – da "non specialisti". Il Comitato in scadenza, di cui faccio parte, ha affrontato temi importanti e interessanti, anche se spesso non proprio quelli sotto gli occhi di tutti, agli onori della cronaca, ma proprio per questo ha svolto un lavoro utile e costruttivo per la società. Non dobbiamo dimenticare, inoltre, che il Comitato nazionale di bioetica è l’unico luogo istituzionale in cui si confrontano, discutono, cercano di trovare – se è possibile – punti di mediazione, esperti che partono da visioni del mondo contrapposte.

Non è facile, certo, ma è un confronto necessario: per chiarirsi le idee su ogni questione, per scandagliare in profondità le possibili conseguenze di ogni scelta bioetica. Se, su qualche questione, la discussione è rimasta in superficie, o le conclusioni sono carenti, ben vengano le critiche, ma almeno si è offerto un punto di partenza riconosciuto per discutere, per proseguire nell’analisi, per superare contrapposizioni pregiudiziali. Siamo davanti a cambiamenti bellissimi e spaventosi insieme, è fondamentale che un gruppo di persone riconosciute di qualche competenza si riunisca per pensarle, per vagliarne le conseguenze, per mettere in guardia il legislatore o per garantirne la positività.  

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