Per la prima volta, tocca a un magistrato pronunciarsi sul tema della pillola del giorno dopo: il 5 giugno il gip del Tribunale di Roma, Claudio Mattioli, dovrà decidere se archiviare o meno l’inchiesta per omissione di atti di ufficio nata due anni fa, quando una donna presentò denuncia contro ignoti per essere stata respinta da due ospedali dove aveva chiesto le venisse prescritta la pillola del giorno dopo. Il pm Angelantonio Racanelli nel luglio 2006 ha sollecitato l’archiviazione del procedimento, perché «non può escludersi alla luce degli accertamenti svolti la sussistenza della causa di giustificazione (l’obiezione di coscienza alla somministrazione della pillola del giorno dopo) quanto meno sotto il profilo putativo». Anche perché il pm non escluderebbe «la possibilità che tale tipo di pillola possa essere una pratica abortiva». Infine, «non vi è alcun elemento certo – dice il pm – per ritenere che il personale medico in servi- zio sia stato reso edotto della richiesta della donna». E nella premessa, il pm ritiene necessario un «intervento legislativo» in materie. Come accadde per il caso Welby. Replica Amedeo Bianco, presidente degli Ordini dei medici (Fnomceo): «Deve prevalere il giudizio del medico, non servono altre leggi».
Alla richiesta del pm si è opposto l’avvocato della donna, Alessandro Gerardi, affiancato dai Radicali romani e dall’associazione Luca Coscioni che giudicano il caso esemplare di un`«arretratezza normativa rispetto agli altri Paesi europei, dove la pillola del giorno dopo viene data senza ricetta». Per Gerardi «mon ha senso parlare di obiezione di coscienza di fronte ad un farmaco sul mercato da 8 anni, contraccettivo e non abortivo». L’udienza, fissata per oggi, è stata rimandata al 5 giugno per un difetto di notifica. Non ne era stata data notizia alla persona offesa: una biologa di Roma Nord, Francesca Capone, all’epoca 35enne, che di quella vicenda dice di conservare un solo, forte ricordo: «La sensazione di rabbia». Al «no» del pronto soccorso ginecologico del Policlinico Umberto I, era seguito quello del San Giovanni, dove la donna si era recata di sabato: chiusi i consultori, difficilmente rintracciabili i medici di base, un’impresa procurarsi la ricetta. «Alcuni infermieri fecero da filtro – ricorda spiegandoci che in quel momento non c’era nessuno disposto a prescriverci il farmaco: "Meglio andare di lunedì al consultorio". Ma come è noto la pillola ha efficacia entro 72 ore dal rapporto». Ricorda ancora, Francesca, le parole sarcastiche di un ausiliario: «Speriamo che il tuo ragazzo abbia gli spermatozoi non fertili, così non resti incinta». E l’indignazione crescente. «Solo al San Camillo conclude – ho ottenuto la ricetta».