Lombardia, cambia la 194: nuovi limiti per l’aborto

E ora l’asticella della vita, per la prima volta, ha dei confini che la delineano uffi­cialmente, almeno dal punto di vista medico: è la 23esima setti­mana. Da qui viene riconosciu­ta la possibilità di vita autono­ma di un neonato.

Dopo mille polemiche sui due temi di bioetica più contro­versi degli ultimi mesi, doppia svolta ieri su aborto terapeuti­co e rianimazione dei bambini prematuri. In entrambi i casi so­no stati fissati limiti «per aiuta­re i medici a decidere nelle si­tuazioni più complesse». Da un lato, la Regione Lombardia ha varato un manuale d’applicazio­ne della legge 194, unico in Ita­lia: come anticipato dal Corrie­re della Sera a inizio gennaio, il tempo limite per l’interruzione terapeutica della gravidanza vie­ne fissato alla 22esima settima­na e 3 giorni (la legge non ne fissa nessuno, anche se normal­mente si considera la 24esima settimana). Dall’altro lato, il po­ol istituito dal ministro della Sa­lute Livia Turco sulle cure ai prematuri ha stilato il suo docu­mento conclusivo (trasmesso al Consiglio superiore di Sani­tà): sotto la 22esima settimana e 6 giorni la rianimazione è sconsigliata («Al neonato devo­no essere offerte solo le cure compassionevoli…»).

Due atti d’indirizzo per la so­luzione di un unico dilemma. «Il principio è lo stesso — spie­ga Fabio Mosca, il neonatologo della clinica Mangiagalli tra i re­latori di entrambe le linee gui­da —. Tutto ruota intorno alla 23esima settimana: l’aborto te­rapeutico può essere praticato fin qui, la rianimazione deve iniziare da qui, perché è pro­prio alla 23esima settimana che comincia la possibilità di vita autonoma di un neonato. Senza escludere mai l’autonomia del medico sul singolo caso», il mo­tivo dei tre giorni di differenza tra un regolamento e l’altro so­no spiegati nel decreto della Re­gione Lombardia: «Per far fron­te a eventuali margini di errore nella datazione della gravidan­za».

I riflettori sono puntati so­prattutto sulla mossa della Lom­bardia. Le linee guida del Pirellone vincolano, tra l’altro, l’interruzione di gravidanza per motivi di salute della donna an­che al via libera di un’equipe di specialisti (tra cui, eventualmente, anche uno psicologo). Il governatore Roberto Formigo­ni assicura: «Non è una sfida al Governo sulla legge 194. La no­stra è un’iniziativa che mette a frutto l’esperienza di due ospe­dali lombardi all’avanguardia, la Mangiagalli e il San Paolo, do­ve le linee d’indirizzo sono già state applicate con risultati po­sitivi. A vantaggio delle donne. Con un investimento di 64 milioni di euro, infatti, potenzia-mo anche le attività di preven­zione soprattutto nei consulto­ri».

Ma le critiche al provvedi­mento non si fanno attendere. «È una decisione inutile, tutta politica — denuncia Silvio Via­le, il ginecologo radicale che ha condotto al Sant’Anna di Tori­no la sperimentazione sulla RU486 —. L’unico scopo è intimidire i medici non obiettori». Per il Pd la posizione di Formigoni è contraddittoria. Perples­so anche Gianpaolo Donzelli, neonatologo al Meyer di Firen­ze e tra i papa della Carta sulle cure perinatali: «È uno degli ef­fetti perversi della devolution sanitaria — dice —. Un atto inopportuno perché su quésti temi è già in atto un dibattito che coinvolge il ministero della Salute, il Consiglio superiore di Sanità e il Comitato nazionale di bioetica». Ma la Lombardia ha preferito fare una fuga in avanti.