L’eutanasia in uno spot

Marcello Buttazzo

Caro direttore, forse a gennaio, su alcune tv potrebbe andare in onda uno spot sull’eutanasia, promosso dai radicali. È lecito, è corretto che una tematica delicatissima venga affrontata nei pochi secondi d’uno spazio breve? È giusto che, in Italia, si apra criticamente la discussione sulla "dolce morte"? Ci sono dati certi, sondaggi affidabili, di cui la politica e il mondo della cultura devono tenere conto: nel nostro Paese esiste un 67% di cittadini favorevoli all’eutanasia. Il sottosegretario alla Salute Eugenia Roccella, con una definizione secca, apodittica, afferma: “Il diritto a morire non deve esistere”. Fuori dalle improduttive contrapposizioni ideologiche, anche "maneggiando" la vita, dovremmo imparare a dialogare.

Personalmente, forse, non ricorrerei mai all’eutanasia (nel senso di farmi somministrare un veleno). Vorrei sempre morire pianamente, tra le carezze delle persone care, magari fra le braccia dell’amata, che mi narra storie, ricordi felici, il rumore del tempo, l’odore del mare. Ma il punto non è questo. Dovremmo uscire dalla soggettività e dare uno sguardo d’assieme all’umanità. La vita individuale, talvolta, per accidenti particolari, può diventare insostenibile, un porto di dolorose tribolazioni. Ecco perché sono convincenti, meditate, frutto d’una sofferta esperienza vissuta, le parole di Mina Welby: “Tutti vogliamo vivere e guarire, ma quando questo è impossibile dobbiamo rispettare chi sceglie di non soffrire più”. La politica dovrebbe mettere da parte le polemiche costruite nel solco d’un inaccettabile bipolarismo etico: non c’è affatto un "partito della vita", che fronteggia un "partito della morte". La politica, per cominciare, dovrebbe finanziare nel modo più appropriato le cure palliative, dovrebbe adoperarsi per redigere quanto prima una legge laica e liberale sul testamento biologico, rispettosa a pieno dell’autodeterminazione del soggetto.

 

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