Ennesimo assalto per via giudiziaria alla legge 40 e nuovo rinvio alla Consulta. Nel costante e continuo tentativo di scardinare la legge che regolala fecondazione artificiale in Italia, ieri è stato il tribunale di Catania a sollevare questione di legittimità costituzionale relativamente alla parte della legge che vieta la fecondazione eterologa, ovvero l’utilizzo di seme o ovuli da donatori esterni alla coppia. Il rinvio segue di poco – due settimane appena – e ricalca quanto già disposto nell’ordinanza con cui il tribunale di Firenze aveva sferrato un’analoga offensiva sempre sullo stesso punto, rimettendo alla Corte Costituzionale l’ultimo comma dell’articolo 4 della legge 40. Dietro il ricorso, ancora una volta, i "soliti noti", a cominciare dall’avvocato Marilisa D’Amico, mentre le prime congratulazioni sono arrivate proprio dai suoi colleghi Filomena Gallo e Gianni Baldini cui si era affidata la coppia di Torino che ha ottenuto il rinvio dai giudici di Firenze. La tesi della difesa, tesa a scardinare uno dei pilastri su cui si fonda la legge (passato al vaglio del referendum fallito nel 2005), è quella della «non discriminazione in ragione del grado di sterilità, rispetto al diritto alla salute, al principio di uguaglianza e conformità delle norme italiane rispetto a quelle europee». Il riferimento è – come nel caso di Firenze – alla sentenza con cui la Corte europea dei diritti dell’uomo ha recentemente condannato in primo grado la legge austriaca, simile a quella italiana, nella parte relativa proprio alla fecondazione eterologa.
Vi sono però alcune importanti differenze di fattispecie che vengono ignorate quando si cerca di estendere per analogia la sentenza. Anzitutto la legge austriaca, in difformità rispetto alla legge 40, consente in casi specifici la fecondazione eterologa "in vivo", cioè con l’utilizzo dei soli gameti maschili direttamente nel corpo della donna, e vieta invece quella "in vitro", quindi in provetta. Inoltre si omette che l’Austria ha presentato a sua volta ricorso contro questa decisione, rilevando come la legge vigente miri a «ottenere il rispetto della dignità umana, tutelare il benessere dei bambini e il diritto alla procreazione». Dunque, la sentenza non è ancora passata in giudicato. E mentre la radicale Maria Antonietta Coscioni auspica ovviamente una «soluzione politica che miri alla revisione della legge», il sottosegretario alla Salute Eugenia Roccella parla apertamente di «attacco ideologico a una legge che ha già dimostrato di dare buoni risultati». L’ onorevole Roccella si dice «fiduciosa» rispetto alla prossima pronuncia della Corte, ricordando come la stessa «già in precedenza abbia mantenuto l’impianto della legge».
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