Sostituire il paradigma dell’aut aut con quello dell’et et. Il motto proposto da Veltroni al convegno dei cattolici del Pd funziona bene anche per la ricerca con le cellule staminali adulte ed embrionali. A confermarlo sono le notizie in arrivo da Nature Biotechnology: ricordate quando un anno fa Paolo De Coppi e Anthony Atala hanno scoperto una sorprendente versatilità nelle cellule staminali del liquido amniotico? I soliti noti hanno utilizzato questo lavoro per sostenere che delle cellule di origine embrionale potevamo tranquillamente fame a meno, e hanno interpretato questa scoperta come la dimostrazione di una tesi paradossale. Quella secondo cui i divieti farebbero bene all’avanzamento della scienza. Ora però una lettera pubblicata da un gruppo di ricercatori italiani sulla più importante rivista scientifica dedicata alle biotecnologie gela tutti questi prematuri entusiasmi: a quanto pare l’exploit di De Coppi e Atala potrebbe essere stato soltanto un petardo. La tentazione di ripescare gli articoli sul tema di Eugenia Roccella,i commenti di Luigi Bobba, le polemiche del Foglio contro Ignazio Marino è forte, inutile nasconderlo. Ma è meglio resistere. Quella che è appena arrivata, infatti, non è una bella notizia per nessuno.
Perché scopriamo di avere in mano un minor numero di carte vincenti nella difficile partita della medicina rigenerativa. E perché questo settore di ricerca rischia di perdere credibilità a forza di smentite, bufale e confutazioni. Ma andiamo con ordine. Il lavoro che ha come primo firmatario De Coppi viene pubblicato sempre su Nature Biotechnology il7 gennaio 2007. In tutta fretta, nell’edizione ordine per non aspettare l’uscita su carta. Quando si parla di staminali le riviste scientifiche sanno di poter sbarcare sui telegiornali, perciò non c’è tempo da perdere. Anche perché l’11 gennaio il Congresso americano metterà nuovamente ai voti la proposta di legge per allentare le restrizioni sulle embrionali. La cassa di risonanza, dunque, è assicurata. De Coppi e i suoi colleghi del Wake Forest Institute for Regenerative Medicine e dell’Harvard Medical School sostengono di essere riusciti a trasformare le cellule del liquido amniotico in un’ampia gamma di tipi cellulari, necessari per ricostruire gli organi e i tessuti più disparati, dalle ossa al fegato al cervello. Sembrano aprirsi prospettive entusiasmanti, anche perché gli autori dello studio rivelano di nutrire altrettanta fiducia nelle cellule della placenta, che sono assai più facili da recuperare.
Ma nella comunità scientifica iniziano a circolare ben presto i primi dubbi: quanto sono convincenti i dati portati da De Coppi e Atala a dimostrazione della pluripotenza delle cellule amniotiche? Poco. Per documentare il differenziamento in neuroni, in particolare, gli autori elencano alcuni debolissimi indizi, mentre evitano di eseguirei test potenzialmente conclusivi. E così che Elena Cattaneo, Mauro Toselli, Elisabetta Cerbai e Ferdinando Rossi prendono carta e penna e scrivono a Nature Biotechnology. Le loro contestazioni superano brillantemente la peer-review – il consueto esame da parte di un gruppo di specialisti anonimi – ma dovranno aspettare un anno prima di essere pubblicate. Evidentemente nessuno – nemmeno le riviste scientifiche – ha tanta premura quando si tratta di ammettere un errore. De Coppi e Atala nel frattempo potrebbero aver accumulato dati più solidi, ce lo auguriamo sinceramente. Ma oggi la finestra di speranza che avevano aperto va considerata, almeno temporaneamente, socchiusa. Il guaio è che la loro parabola ha il sapore amaro di un déjà vu. Nel 1999 era stato Angelo Vescovi a far gridare al miracolo, sostenendo su Science di poter trasformare il cervello in sangue.
Peccato che nessuno sia riuscito a replicare in modo convincente i dati del ricercatore del San Raffaele, che tutti ricordano come testimonial della campagna referendaria per l’astensione. Poi sullo scoglio della mancata replicazione si è infranto il sogno di Catherine Verfaillie e delle mirabolanti cellule Mapc del midollo osseo, che pure avevano avuto l’imprimatur di Nature. Ogni volta che ci siamo illusi di poter mandare in pensione le staminali embrionali ci siamo ritrovati con un pugno di mosche. Per colpa di un certo modo di fare scienza, correndo alla ricerca dei riflettori. E per colpa di un certo modo di fare politica, tirando la giacchetta ai dati scientifici per segnare un punto di vantaggio sull’avversario. Oggi le aspettative generali sono con- centrate sulle cellule Ipc del giapponese Shinya Yamanaka, che ha già visto i propri dati replicati da gruppi indipendenti ma ha davanti a sé una strada ancora tutta in salita. Il programma del Pd, che alla scienza dedica molte lodevoli attenzioni, non scioglie questo nodo. Ma se vogliono seguire Veltroni sulla via dell’et et, i cattolici farebbero bene ad archiviare come un relitto della passata stagione politica anche le richieste di moratoria sulle embrionali. Anche perché la ricerca con queste ultime, in Italia, è già severamente regolamentata. [.]