Secondo la Commissione Europea, infatti, pur avendo recepito con il Decreto Legislativo 216/03 la Direttiva 2000/78 del Consiglio Europeo, che aveva stabilito "un quadro per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro", il nostro Paese non ha ancora "una norma generale che imponga al datore di lavoro di prevedere soluzioni ragionevoli per i portatori di qualunque tipo di disabilità e per tutti gli aspetti dell’occupazione". Da ciò, quindi, l’avvio del procedimento di infrazione.
Manca in Italia una norma che obblighi i datori di lavoro a prevedere soluzioni ragionevoli per le persone con disabilità affinché possano avere pari opportunità nell’accesso al lavoro: con questa motivazione la Commissione Europea ha deferito l’Italia alla Corte di Giustizia continentale, centrando sostanzialmente tale azione sullo scorretto recepimento, nel nostro Paese, della Direttiva 2000/78 del Consiglio Europeo, che il 27 novembre 2000 stabilì "un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro", scrivendo tra l’altro – al punto 12 della Premessa – che "qualsiasi discriminazione diretta o indiretta basata su religione o convinzioni personali, handicap, età o tendenze sessuali nei settori di cui alla presente direttiva dovrebbe essere proibita in tutta la Comunità".
Particolarmente importante e determinante per l’attuale deferimento dell’Italia alla Corte Europea, appare poi l’articolo 5 della Direttiva, ove si legge che "per garantire il rispetto del principio della parità di trattamento dei disabili, sono previste soluzioni ragionevoli. Ciò significa che il datore di lavoro prende i provvedimenti appropriati, in funzione delle esigenze delle situazioni concrete, per consentire ai disabili di accedere ad un lavoro, di svolgerlo o di avere una promozione o perché possano ricevere una formazione, a meno che tali provvedimenti richiedano da parte del datore di lavoro un onere finanziario sproporzionato. Tale soluzione non è sproporzionata allorché l’onere è compensato in modo sufficiente da misure esistenti nel quadro della politica dello Stato membro a favore dei disabili".
Ebbene, la Direttiva 2000/78 è stata recepita tre anni dopo in Italia dal Decreto Legislativo 216/03, ma a quanto pare, tale provvedimento non è stato ritenuto adeguato e sufficiente. Infatti, si legge in una nota ufficiale prodotta dalla Commissione Europea, a tutt’oggi "l’ordinamento italiano non contiene una norma generale che imponga al datore di lavoro di prevedere soluzioni ragionevoli per i portatori di qualunque tipo di disabilità e per tutti gli aspetti dell’occupazione". Da ciò, quindi, l’avvio del procedimento di infrazione IP/09/1620. (S.B.)