L’aborto, Cristo e la nostra coscienza

Barack Obama

ObamaLa vostra generazione, giovani laureati dell’Università di Notre Dame, entra nel mondo adulto in un momento di grande rilevanza per la nostra nazione e per il pianeta: uno di quei rari punti di svolta nella storia, dove le dimensioni e la portata delle sfide che ci troviamo ad affrontare ci impongono di fare in modo che il nostro mondo rinnovi la sua promessa. È un privilegio e una responsabilità che poche generazioni si vedono offrire;

ed è un compito che voi siete chiamati ad assolvere. Questa generazione, la vostra generazione, è quella che deve trovare una via per tornare alla prosperità e decidere quale risposta dare a un’economia globale che lasciava indietro milioni di persone ancora prima della recente crisi: un’economia dove spesso ciò che veniva compensato erano l’avidità e le idee di corto respiro, invece dell’equità, del rigore e delle oneste fatiche quotidiane.

La vostra generazione deve decidere come muoversi per salvare il creato da cambiamenti climatici che minacciano di distruggerlo. La vostra generazione deve cercare la pace in un momento in cui vi sono persone che non si fermano davanti a nulla pur di arrecarci danno, e in cui armi nelle mani di pochi possono distruggere molti. E dobbiamo trovare un modo per riconciliare il nostro mondo, sempre più piccolo, con la sua diversità, sempre più grande: diversità di pensiero, diversità di cultura e diversità di credo. In breve, dobbiamo trovare un modo per vivere insieme come un’unica famiglia umana. Ed è dì quest’ultima sfida che vorrei parlarvi oggi. Le minacce principali a cui dobbiamo far fronte nel XXI secolo – si tratti della recessione globale o dell’estremismo violento, della diffusione delle armi nucleari o delle pandemie – non fanno distinzioni. Non si curano delle frontiere. Non vedono il colore. Non prendono di mira determinati gruppi etnici. E nessuna persona, nessuna religione o nazione possono affrontare queste sfide da sole. Mai come oggi, in questo momento storico, una maggiore collaborazione e una maggiore comprensione reciproca fra tutte le persone, di tutti i luoghi, sono state tanto necessarie. Il soldato e l’avvocato possono amare questo Paese con la stessa passione, ma giungere a conclusioni molto diverse sulle misure specifiche necessarie per proteggerci.

Il militante omosessuale e il pastore evangelico possono deplorare entrambi le grandi sofferenze provocate dal virus Hiv, ma non riuscire a colmare il divario culturale che li separa e unire i loro sforzi. Chi è contrario alla ricerca sulle cellule staminali magari lo fa sulla base di un’ammirevole fede nella sacralità della vita, ma la stessa motivazione muove i genitori di un bambino malato di diabete giovanile, convinti che questa ricerca possa alleviare le sue sofferenze. La domanda allora è: come possiamo fare per risolvere questi conflitti? Siamo in grado di unire le nostre mani in uno sforzo comune? Come impegnarci in un dibattito acceso in quanto cittadini di una democrazia vivace e variegata? Come può ciascuno di noi non arretrare sui propri principi e al tempo stesso lottare per quello che consideriamo giusto, senza demonizzare, come diceva padre John, chi dall’altra parte nutre convinzioni altrettanto salde? E naturalmente la questione dell’aborto è il tema dove queste domande insorgono con maggior forza.

Ragionando sulle polemiche che hanno accompagnato la mia visita in questa università mi sono ricordato di un incontro che avevo avuto durante la mia campagna per il Senato, che ho descritto nel mio libro L’audacia della speranza. Pochi giorni dopo aver conquistato la nomination per il partito democratico, ho ricevuto una mail da un medico che mi diceva di aver votato per me nelle primarie dell’Illinois, ma che temeva fortemente che questo tema potesse impedirgli di darmi il suo voto alle elezioni generali. Si autodefiniva un cristiano fortemente contrario all’aborto, ma diceva che non era questo che rischiava di farmi perdere il suo voto. A turbare quel medico era uno dei punti inseriti dai miei collaboratori sul sito della mia campagna elettorale, dove era scritto che intendevo battermi contro «quegli ideologi della destra che vogliono privare la donna del diritto di scegliere». Il medico diceva che dava per scontato che fossi una persona ragionevole, che era favorevole alle mie iniziative politiche per aiutare i poveri e migliorare il nostro sistema scolastico, ma che se veramente io fossi stato convinto che ogni antiabortista non era altro che un ideologo desideroso di infliggere sofferenze alle donne, allora ne doveva concludere che non ero poi così ragionevole. Scriveva: «Non le chiedo di opporsi all’aborto, solo di affrontare questo tema usando parole equilibrate».

Parole equilibrate. Dopo aver letto questa lettera, ho risposto al mittente ringraziandolo. E non ho modificato la mia posizione di fondo, ma ho detto ai miei collaboratori di cambiare quelle parole che comparivano sul mio sito. E quella sera ho pregato di riuscire a concedere agli altri la stessa presunzione di buona fede che lui aveva concesso a me. Perché quando facciamo una cosa del genere, quando apriamo il nostro cuore e la nostra mente a coloro che possono non pensarla esattamente come noi o non credere esattamente in quello in cui crediamo noi, è in quel momento che scopriamo almeno la possibilità di un terreno comune. È in quel momento che iniziamo a dire: «Forse non siamo d’accordo sull’aborto, ma possiamo comunque essere d’accordo sul fatto che questa decisione straziante per ogni donna non viene presa alla leggera, che è una decisione che ha implicazioni sia in senso morale che spirituale». E perciò lavoriamo insieme per ridurre il numero delle donne che ricorrono all’aborto, riduciamo le gravidanze indesiderate. Rendiamo più facile l’adozione.

Garantiamo cure e sostegno a quelle donne che scelgono di portare fino in fondo la loro gravidanza. Rispettiamo la coscienza di chi è contrario all’aborto ed elaboriamo una norma equilibrata sull’obiezione di coscienza, facciamo in modo che tutte le nostre politiche sanitarie siano fondate non soltanto su comprovate verità scientifiche, ma anche su principi etici chiari e sul rispetto per l’uguaglianza delle donne. Queste sono cose che possiamo fare. Voglio che una cosa sia ben chiara, laureati del 2009: io non sto suggerendo che il dibattito sull’aborto debba cessare. Perché per quanto possiamo cercare di eluderlo – pur sapendo che le opinioni della maggior parte degli americani sull’argomento sono complesse e perfino contraddittorie – il dato di fatto è che da un certo punto di vista le opinioni dei due schieramenti sono inconciliabili. Ognuna delle due parti continuerà a perorare la sua tesi presso l’opinione pubblica con passione e convinzione. Ma certamente possiamo fare tutto questo senza ridurre le opinioni altrui a caricature. Cuori aperti. Menti aperte. Parole equilibrate. E un modo di vivere che è sempre stato nella tradizione di Notre Dame. Questa tradizione di cooperazione e comprensione è una lezione che ho appreso nella mia vita molti anni fa, anche con l’aiuto della Chiesa cattolica.

Vedete, io non sono cresciuto in una famiglia particolarmente religiosa, ma mia madre mi ha instillato la passione di servire e amare il prossimo, e questo mi ha portato, finita l’università, a impegnarmi nell’attività sociale a livello locale. Un gruppo di chiese cattoliche di Chicago contribuì a fondare un’organizzazione chiamata Progetto per lo sviluppo delle comunità, e lavorammo insieme per il recupero di quei quartieri del South Side devastati dalla chiusura dell’impianto siderurgico locale. Eravamo una squadra piuttosto eclettica – chiese cattoliche e protestanti, militanti ebrei e afroamericani, operai neri, bianchi e ispanici che vivevano là – tutti con esperienze diverse,tutti con convinzioni diverse. Ma tutti abbiamo imparato a lavorare fianco a fianco, perché tutti vedevamo, in questi quartieri, altri esseri umani che avevano bisogno del nostro aiuto, per trovare lavoro e migliorare le scuole. A legarci tutti era la volontà di servire gli altri. Ed è successo qualcos’altro nel periodo che ho trascorso in quei quartieri, forse perché le persone di chiesa con cui lavoravo erano così accoglienti e comprensive; forse perché mi invitavano alle loro funzioni e cantavano con me i loro inni, forse perché ero in bolletta e mi hanno dato da mangiare. Forse perché sono stato testimone di tutte le opere buone che la loro fedeli spingeva a compiere mi sono trovato attratto non solo dall’idea di lavorare insieme alla Chiesa: mi sono trovato attratto dall’idea di far parte della Chiesa.

È stato attraverso questo impegno che mi sono avvicinato a Cristo. Ora voi, laureati del 2009, vi apprestate a entrare nella fase successiva della vostra esistenza in un periodo di grande incertezza. Sarete chiamati a ricostruire un libero mercato che sia anche equo nei confronti di chiunque sia disposto a lavorare. Sarete chiamati a cercare nuove fonti di energia per salvare il nostro pianeta, a offrire alle generazioni future la stessa occasione che avete avuto voi di ricevere un`istruzione straordinaria. E sia che scegliate di servire la collettività, sia che vogliate semplicemente essere cittadini attivi, sarete esposti a una quantità di idee e di opinioni senza precedenti, veicolate attraverso una varietà di mezzi di comunicazione senza precedenti. Sentirete presentatori televisivi urlare sulle reti via cavo, leggerete blog che pretendono di essere in possesso del- la verità indiscutibile, vedrete politici che fingono di sapere di che cosa stanno parlando. Di tanto intanto, potreste essere tanto fortunati da vedere questioni importanti discusse da gente che sa davvero di che cosa parla, persone bene intenzionate, con una mente brillante e la piena conoscenza dei fatti. Anzi, credo proprio che tra di voi si nasconda qualcuna di queste persone speciali. E in questo mondo di concezioni contrastanti su ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, abbiate fiducia nei valori con cui siete stati cresciuti ed educati. Non abbiate paura di esprimere il vostro pensiero quando sono in gioco tali valori. Tenetevi stretta la vostra fede e usatela come punto di riferimento nel vostro viaggio.

In altre parole, siate un faro. Ma ricordate anche che potete essere un crocevia. Ricordate anche che l’ironia ultima della fede è che essa, necessariamente, contempla il dubbio. La convinzione in cose invisibili. Conoscere con certezza ciò che Dio ha previsto per noi, o ciò che Egli ci chiede, va al di là delle nostre capacità umane. E chi di noi crede deve confidare nel fatto che la Sua saggezza è superiore alla nostra. E questo dubbio non deve spingerci lontano dalla nostra fede. Ma deve renderci più umili. Deve temperare le nostre passioni, indurci a diffidare del moralismo eccessivo. Deve costringerci a rimanere aperti e curiosi, ansiosi sì di continuare il dibattito spirituale e morale che tanti di voi hanno avviato qui tra le mura della Notre Dame. E nella nostra vasta democrazia, questo dubbio deve ricordarci, senza venire assolutamente meno alla nostra fede, di persuadere il prossimo usando la ragione, facendo appello ogni volta che possiamo a principi universali, non principi limitati e di parte, e soprattutto attraverso l`esempio costante delle opere di bene, della carità, della gentilezza e dello spirito di servizio capace di smuovere la mente e il cuore.