E’ Emma Bonino che parla, lei che per Rubbettino editore ha curato Pensionata sarà lei, un libro su donne, parità e crisi economica. L’input è stato la condanna, il 26 novembre 2008, della Corte di giustizia europea perla mancata equiparazione dell’età pensionabile nel pubblico impiego. I dati, in effetti, già parlano da sé: per le pensioni di vecchiaia l’importo medio mensile delle donne è pari al 52% di quello dei maschi. Per le pensioni di anzianità, mentre gli uomini la raggiungono spesso perché iniziano a lavorare presto e con continuità, le donne, invece, hanno carriere più discontinue, essendo la loro attività lavorativa interrotta da gravidanze e accudimento dei figli. In Italia le lavoratrici senza figli sono occupate per il 66%, gli uomini per l’80,7%; se hanno figli la quota degli uomini sale al 93,8%, quella delle donne scende al 54,6%. Una donna su 9 ha lasciato il lavoro in seguito alla maternità, 2 su 3 per esigenze di cura e assistenza dei figli. Equiparare l’età pensionabile permetterebbe, sostiene la vicepresidente del Senato, di rimettere le donne al centro dell’agenda politica del nostro Paese e di far fronte a tutti quegli handicap che un welfare, molto italiano e poco europeo, ha prodotto. Ma quanto una riforma in questo senso rappresenta davvero un’occasione per le donne?
Emma Bonino, l’innalzamento della soglia dell’età pensionabile garantirebbe risparmi della finanza pubblica che poi dovrebbero essere devoluti al miglioramento delle opportunità e dei trattamento delle donne nell’occupazione. Ma tali risparmi riuscirebbero a sanare un welfare che ancora non c’è?
A sanarlo ovviamente no ma sarebbe un primo passo per affermare "siamo anche noi cittadine europee" e per questo non ci accontentiamo dei risarcimenti. Questo non lo dico io ma è quello che affermala condanna europea. L’Europa ci spiega che la logica risarcitoria non funziona più: non giustifica né salda il debito che lo Stato italiano ha nei confronti delle donne, non risolve i problemi di conciliazione e gli affanni cui sono costrette durante la vita lavorativa. Basterebbero i soldi della manovra di equiparazione dell’età pensionabile nel pubblico impiego per dare vita a progetti voucher, spendibili per assistenza e cura, che funzionano molto bene in Francia e che vedono buoni progetti pilota anche in Sicilia.
Pensione a 60 anni e privilegi previdenziali, perché sono da considerarsi "tardive compensazioni"? Non sono forse aiuti necessari che sopraggiungono a una certa età dopo numerosi annidi sacrifici?
Sono compensazioni tardive perché appunto arrivano quando non servono più. Anticipare l’uscita non è un gesto di "galanteria": meno anni di lavoro uguale pensioni più basse. Non è certo un affare! Ci siamo chieste piuttosto se al di là delle difficoltà nel riformare il welfare non ci sia una certa convenienza a mantenere la situazione così com’è. Le donne sono ufficialmente tappabuchi di un welfare che non c’è, acrobate e tuttofare: perché spendere soldi in servizi se tanto ci pensano loro? Anzi, mandiamole in pensione prima. Di certo non andranno alle Maldive, ma cureranno il suocero o faranno da babysitter ai nipoti.
L’Ue ci impone di arrivare al 60% di occupazione femminile entro il 2010. La crisi economica non rischia di aggravare la situazione?
Le donne rischiano di rimanere in un angolo. Non vorrei che ci svegliassimo, magari tra un anno, e scoprissimo che l’obiettivo di Lisbona del 60% è ancora più lontano. Le donne difficilmente entrano nel mercato del lavoro e sono le prime a uscirne in tempi di crisi: oltre 3 milioni e mezzo hanno rinunciato a lavorare e solo il 48,6% è occupata. Il tutto, accompagnato dalla scarsa domanda da parte delle imprese italiane, da salari troppo bassi, dalla scarsa offerta e dall’alto costo dei servizi di assistenza e cura, rischia di essere un cocktail micidiale. Se guadagno 1.000 euro al mese, ne spendo 600 per l’asilo nido e magari 400 perla badante del nonno un po’ malato, perché dovrei lavorare? Dobbiamo iniziare, intanto, a rendere conveniente lavorare.