Ecco la storia della controversa sperimentazione sulla proteina dell’Hiv. Tra nepotismo e scarsi risultati scientifici
Nell’Istituto Superiore di Sanità (Iss) di Roma, nel laboratorio di virologia diretto dalla dottoressa Barbara Ensoli si studiano le proprietà terapeutiche della proteina Tat del virus HIV e si tenta un vaccino italiano per l’Aids. A sentire le dichiarazioni della scienziata, Tat possiede in sé tutte le qualità positive: è immunogenico, matura le cellule dendritiche, migliora le attività del proteasoma. Deve essere a causa del suo stesso nome (omen nomen?). In sanscrito, Tat significa "il tutto". Negli ambienti dell’Iss che ho frequentato per circa due anni occupandomi di immunologia e studiando vaccini ho ritrovato il modello per l’impiego ottimale dei sottoposti che da ricercatore avevo sperimentato negli Stati Uniti. A ciò si assomavano alcune usanze italiane: gli onnipresenti amici e parenti nei punti chiave dell’ufficio del capo. Nessuno studente o ricercatore estero, nessun postdoc straniero. Gli studenti ridotti a manovalanza, inibita ogni vena creativa. Per il raffinamento delle tesi di dottorato, supporti intellettuali e tutoriali pressoché assenti. Chi pensava con la propria testa era un impedimento. Chi eseguiva senza discutere le direttive veniva favorito e premiato.
Ma veniamo al nocciolo delle questioni scientifiche: nelle pubblicazioni Tat di HIV è descritta come una piccola proteina del guscio del virus, scoperta e studiata da Robert Gallo (vedi Gallo, Ensoli, Salahuddin, AIDS-associated Kaposi’s sarcoma: a molecular model for its pathogenesis. Cancer Cells. 1989). A quell’epoca la Ensoli era una postdoc in quel laboratorio. Al suo ritorno in Italia ha portato con sé Tat facendone una filosofia propria nonché un vaccino per l’HIV. Ma Tat, fra le tante dell’HIV studiate, non regala particolari soddisfazioni dal punto di vista immunologico ( nello specifico: una correlazione fra immunogenicità CD8+ del Tat e il controllo della viremia in vivo deve essere ancora chiarita). Eppure Barbara Ensoli è sicura: va al telegiornale di Rai1 e dichiara che l’Italia avrà un vaccino per l’HIV. Riceve quindi autorizzazione e finanziamenti per sperimentarlo sull’uomo. Il professor Fernando Aiuti, responsabile di uno dei centri coinvolti nella sperimentazione clinica del vaccino in Fase I nel reparto di Immunologia clinica, del Policlinico Umberto I a Roma in un convegno scientifico (assieme alla ricercatrice Genoveffa Franchini e davanti a Robert Gallo) chiede spiegazioni su alcuni risultati che reputa non convincenti. Ensoli, per tutta risposta, lo denuncia civilmente per diffamazione.
Infatti, Fernando Aiuti, assieme a quattro ispettori dell’agenzia del farmaco (Aifa), aveva già rilevato «irregolarità critiche» durante le procedure della Fase I, come è agli atti e come lui stesso dichiarò al Corriere della Sera il 25 giugno del 2005. Nel frattempo, la trasmissione tv Report solleva il problema del maltrattamento delle scimmie vaccinate con Tat negli stabulari dell’Istituto. Una parte del personale della Ensoli chiede il trasferimento ad altro laboratorio. Il giornalista scientifico Jon Cohen scrive due articoli sulla rivista Science. Nel primo, pubblicato nel 2003, spiega i meccanismi politici che hanno dato il via ai finanziamenti alla dottoressa Ensoli.: nel primo mette in evidenza un legame politico fra i finanziamenti devoluti alla Ensoli per la Fase I del vaccino e la partecipazione italiana alla guerra d’occupazione in Iraq nel secondo riporta che la Ensoli ottiene un massiccio finanziamento per la Fase II del vaccino nell’uomo nonostante le irregolarità evidenziate da Aiuti e dalle commissioni di vigilanza, nonché l’assenza di pubblicazione scientifica dei risultati di Fase I e la mancanza del parere di scienziati esterni su tali risultati.
Infatti, per Fase II, la Ensoli ha ricevuto tre finanziamenti enormi per complessivi 63 milioni di Euro: dal Ministero della Salute (22 Milioni); dal Ministero degli Esteri (31 milioni); dalla Comunità Europea (10 milioni). «Per fare un confronto – dice Aiuti – dal 1990, ogni due anni viene emesso dall´Iss un bando per i migliori progetti di ricerca nazionali sull´Aids, per complessivi 15 milioni di euro. I vincitori sono circa 100 con una media di 30.000 euro per progetto, revisionato da una commissione esterna e da 60 referees anonimi nazionali ed internazionali. Il sistema è stato ignorato per il progetto vaccino della Ensoli». Nessuno può mettere in dubbio le capacità imprenditoriali della dottoressa Ensoli. Tutti sarebbero entusiasti nel sostenere uno scienziato italiano nella corsa alla sconfitta dell’AIDS. Ma non a qualunque prezzo. E solo se finalizzate a lungo termine, al progresso del pensiero in Italia. Ma il fatto è che in Italia si sta facendo strada un sistema ibrido: un modello americano trapiantato da una generazione di ritorno dal nuovo mondo si fonda su valori meramente industriali ma è applicato con modus operandi dell’italietta arrivista. L’Istituto Superiore di Sanità non è un’azienda privata ma una struttura pubblica nazionale. Pagata dai cittadini per lo sviluppo scientifico e culturale degli italiani. Occorre ricordarlo.