ROMA – Credenti e non credenti convergono sempre di più su un punto: legiferare su una materia legata alla conclusione della vita umana è impresa difficilissima, soprattutto perché si tratta di far conciliare sensibilità e approcci etici molto distanti tra loro. Quindi il dibattito sul testamento biologico e soprattutto sul disegno di legge Calabrò (ovvero Raffaele Calabrò, senatore pol, relatore fino all’approvazione a Palazzo Madama nel marzo 2009) è spesso caratterizzato da questo aspetto, in vista della discussione alla Camera prevista dal 7 marzo in poi: cioè dalla difficoltà di sostenere o condannare apertamente, in ogni sua parte, un testo prodotto da una mediazione e che fatalmente non scontenta e non accontenta completamente nessuna delle due parti in causa. Prova ne siano i distinguo trasversali di Giuliano Ferrara e Sandro Bondi (Pdl) e di Umberto Veronesi, dal centrosinistra, che hanno chiesto di non approvare alcuna legge e di lasciare, in sostanza, le cose come stanno.
Oggi intervengono su questo tema Lorenza Carlassare, professore emerito di diritto costituzionale nella facoltà di giurisprudenza dell’Università di Padova, cofirmataria dell’appello “Autodeterminazione” con Stefano Rodotà e Pietro Rescigno, e Davide Rondoni, scrittore e poeta, editorialista di Avvenire, autore di testi teatrali.
Viste le premesse, e visto il testo finale, a vostro avviso è giusto o no procedere all’approvazione del disegno di legge approvato al Senato e che ora andrà alla Camera?
Carlassare: “Piuttosto che ritrovarsi con questa legge, allora è meglio non legiferare. Dal punto di vista del nostro ordinamento, una legge non sarebbe nemmeno necessaria poiché dalla Costituzione italiana si ricava chiaramente il diritto dì rifiutare qualsiasi cura, anche quelle indispensabili perla sopravvivenza. Faccio un esempio: quando Pannella ha rischiato di morire di fame o di sete, nessuno ha potuto ordinargli un’alimentazione o un’idratazione forzate”.
Rondoni: “Se io fossi il Gheddafi d’Italia e dovessi decidere senza discussioni, non ne farei niente. Anche perché questa legge è per uomini soli, parte dal presupposto che siamo diventati delle monadi. E che la morte si sia trasformata in un fatto individualistico sottratto a quel rito conclusivo in cui tutti hanno un ruolo: amici, parenti, figli, mogli, magari le amanti. Proprio la premessa antropologica a mio avviso non va. La vera battaglia non è sulla legge ma nello stabilire se l’uomo resti una "persona" o sia una monade”.
Arriviamo al punto più contestato, cioè al divieto di inserire l’alimentazione e l’idratazione artificiale nella cosiddetta “dichiarazione anticipata di trattamento” in quanto “nutrimento” e non terapia. Qual è la vostra opinione?
Carlassare: “Voglio tornare ai principi costituzionali e alle garanzie che ne conseguono. Io sono titolare di un diritto molto chiaro e devo restarlo anche se non sono in grado di esprimermi. Ricordo ancora il caso della donna che, con la gamba in cancrena, rifiutò l’amputazione e decise di morire "naturalmente" col marito durante un viaggio in Sicilia. Infilare un tubo nel ventre o inserire un tubo nell’esofago è comunque un intervento e quindi la distinzione è una forzatura. Con l’aggravante che il medico può disattendere la volontà del paziente”.
Rondoni: “Io dico che se non si salva almeno questo aspetto, cioè la decisione di adottare le misure del caso, allora si delegittima completamente l’attività medica. Siamo di fronte a un gancio al quale è appesa, di fronte a un grande vuoto, la dignità stessa di quella professione. Molte volte di fronte a un dolore acuto, o alla prospettiva di una lunga degenza, si sarebbe tentati di dire "no, non curatemi, non ricoveratemi, non ne voglio sapere". Ma la cura non è una trattativa tra medico e paziente. E il medico, io credo, ha il diritto di esercitare il proprio dovere etico. Ma questo ragionare astratto rende tutto rarefatto e distante dal reale…”.
Una domanda molto diretta: secondo la vostra opinione, la vita umana è "disponibile" o "indisponibile"?
Carlassare: “Io sono cattolica credente e praticante, personalmente affido la mia vita nelle mani di Dio. E penso che rifiutare inutili sofferenze significhi anche affrontare una morte naturale come transito verso la vita eterna. In quanto alla legge, mi pare più motivata dalle preoccupazioni dei medici che temono la moltiplicazione di cause legali”.
Rondoni: “Noi non disponiamo della nostra vita, né nella nascita né nella morte, è un mistero che tutti i grandi scrittori hanno affrontato, penso solo a Pascoli, Pasolini, Luzi. Non a caso il Superuomo di Nietzsche deve credersi "non nato" proprio per autodeterminarsi interamente”.
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