ROMA – Voleva andarsene con fierezza e dignità. Prima chela malattia lo consumasse, gli impedisse di scrivere, dipingere. Prima che l`Alzheimer lo rendesse estraneo a se stesso e agli altri. E così è stato. Hugo Claus, più volte candidato al premio Nobel perla letteratura, nel 2000 vincitore del premio Nonino, il più grande scrittore fiammingo, romanziere, drammaturgo e poeta, è morto ieri a 78 anni in un ospedale di Anversa. Nel giorno e l`ora in cui aveva deciso. Se n`è andato per eutanasia, ha comunicato la sua casa editrice.
Perché il Belgio è uno dei tre paesi europei, con Lussemburgo e Olanda, dove la «buona morte» – dal 2002 – è legale. Così Claus ha potuto chiedere ai medici della clinica di Anversa che lo curavano di prendersi cura anche della sua morte. Dopo aver vissuto spendendosi sino all`ultimo per il suo paese, amato e criticato con ferocia nei suoi libri, raccogliendo firme contro il separatismo durante la profonda crisi di governo di settembre. «Scrivere – affermava – è mettere il dito nella piaga, ovvero, siccome non vi ci si mette certo il mignolo, buttandovisi con tutti se stessi, con la propria linguae parole, come in un baratro». E lui lo aveva fatto soprattutto nel suo romanzo più noto, La sofferenza del Belgio.
«Sono felice per Claus. Lui ha potuto. Lui ha avuto la libertà di scegliere quando la vita gli è parsa senza via di uscita, senza speranza». Così Mina Welby, pensando al la lunga lotta di suo marito prima di poter smettere le cure, ha commentato la notizia della morte del grande scrittore.