Lunedì, mentre il Partito democratico decideva "libertà di coscienza" sulla prossima legge del testamento biologico, sollecitata dal cardinale Angelo Bagnasco, presidente Cei, per evitare "giurisprudenze creative", apprendevo la storia di Aruna, che si trova da 37 anni in stato vegetativo.
A svelarla è l’ultimo numero di Left, settimanale dell’altra Italia, come si autodefiniva quando si chiamava Avvenimenti, e che molti di noi leggono proprio per questo. Uno storico medievalista, Antonio Menniti Ippolito, che ha adottato un bambino indiano e anche per questo segue da vicino le vicende della più grande democrazia del mondo, racconta la sentenced to life emessa venti giorni fa, il 7 marzo, dalla Corte suprema di Dehli: che ha respinto la richiesta di eutanasia per Aruna presentata dalla giornalista che ne ha scoperto e denunciato il caso, Pinki Virani, affermando tuttavia la liceità di sospendere i trattamenti – compresi idratazione e alimentazione forzata – che consentono ai pazienti vegetali di "sopravvivere" in condizioni estreme.
In altre parole, ha legittimato l’eutanasia passiva, come la corte di cassazione italiana fece con Eluana Englaro, anche lei abbandonata al suo stato vegetativo dalla mancanza di leggi e dalla pia ferocia dei suoi "curatori". La storia è questa: 37 anni fa, Aruna Shanbaug, in servizio al King Eduard Memorial hospital di Mumbai, in procinto di sposarsi con un medico della stessa struttura, fu sodomizzata da un addetto alle pulizie, cui aveva contestato delle inadempienze. L’assassino, mentre la violentava, la tenne ferma con un guinzaglio da cani al collo, che le provocò la parziale asfissia e danni irreversibili al cervello. Per "salvare l’onore" della vittima, i medici nascosero la violenza sessuale, presentarono il caso come tentato omicidio, il tribunale limitò la condanna a 7 anni di reclusione, mentre la povera ragazza, piombata in ininterrotto stato vegetativo, è legata da 37 anni alle sue cannule: col management ospedaliero che vuole recuperare il posto letto rimandandola a casa (che non c’è più, la donna ha ormai sessant’anni), e i colleghi che continuano a curarla con affetto, che Pedro Almodovar descrisse nel suo capolavoro Parla con lei.
Ai primi d’aprile la camera dei deputati darà il voto definitivo (rivedendo il testo del senato) alla legge sul testamento biologico (anzi "contro", al punto che Bonino e Veronesi dicono «meglio nessuna legge che questa»). Infatti, nacque dal furioso grido "assassini" scagliato dall’altro ex radical-clericale Quagliariello, contro politici e altissime istituzioni che avevano "intralciato" il decreto preparato dal governo per compiacere le gerarchie, e che avrebbe sottratto alla magistratura il caso Englaro. Appunto, la "giurisprudenza creativa" di Bagnasco. Il caso non era “contemplato”- avrebbe detto ai tempi di don Rodrigo il genuino Azzeccagarbugli – da alcuna grida; e quindi risolvibile solo con un intervento giurisprudenziale. Per evitare in avvenire altri consimili creatività o – nella cultura della Roccella – suicidi assistiti, omicidi di stato, si va al voto sul testo Di Virgilio: medico cattolico, che non crede alle streghe e all’esigenza salvifica di bruciarle sui roghi, e perciò ha apportato modifiche al testo senatorio, tuttavia ostacolate da molti suoi colleghi ex democristiani, fascisti, socialisti, radicali, qualunquisti, liberali, repubblicani del Pdl e della Lega, che non lo trovano abbastanza clericale.
Ignazio Marino, sempre moderato, è severissimo. Condanna l’inesauribile Eugenia Roccella, che ha paragonato il caso di Eluana Englaro a quello di Stefano Cucchi. Dice: «È una evidente manomissione della realtà. Cucchi era un ragazzo che non si è visto riconoscere, come detenuto, il diritto alla salute, riconosciuto a chi non è in carcere. Eluana, una donna che dopo 17 anni ha potuto andare incontro alla fine naturale, per una sua precisa scelta comunicata ai genitori e non mai rispettata, nonostante le richieste della famiglia. Roccella ha avuto la capacità, con una sola dichiarazione, di offendere due famiglie». Ma le scelte di Eluana non potranno essere rispettate con la nuova legge sul testamento biologico, nemmeno nella versione civilizzata da Di Virgilio: che non limita l’intervento alle «persone in stato vegetativo permanente», per le quali la bigotteria roccelliana ha istituito addirittura una giornata nazionale, come una volta per le vittime del lavoro, ma anche a chi «è in stato di incoscienza». E tuttavia, fermo il dogma che decidere della propria vita non è diritto della persona, la legge riafferma l’obbligatorietà per i medici di trafiggere le vittime con cannule alimentari e idratanti, nega valore vincolante al testamento biologico, sebbene rinnovato ogni 4 anni, espone il medico al rischio di dover decidere tra la volontà scritta del malato e la volontà difforme di parenti. «Concordo – dice Marino – con l’opinione del cardinale Bagnasco sulla necessità di una legge, ma non può essere quella votata dal senato e neanche quella che dovremmo votare alla camera. Anch’essa resta un testo contro l’evidenza scientifica, contro la definizione di vita e morte, contro gli affetti familiari, contro la professionalità dei medici e contro la scelta personale. Io vorrei una legge che desse a ciascuno la possibilità di scegliere le terapie che vuole: chi vuole tutte le terapie che oggi esistono e che esisteranno domani, dovrà averle; chi non le vuole, dovrà poter accettare liberamente la fine naturale della vita».
Ma questo significherebbe vivere in un paese liberale, o almeno indù. Invece noi viviamo in un’Italia di destra, già conosciuta nella prima metà del Novecento.
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