Perché, settimana dopo settimana, mese dopo mese, e i mesi di ritardo sono ormai diventati sei, la nomina del nuovo presidente del Comitato di Bioetica, rischia di diventare sempre di più un fatto politico, il ‘barometro” dell’orientamento del Governo in quelle questioni, delicatissime, di origine e fine della vita. sulle quali spaccature e polemiche sono all’ordine del giorno. Tutto l’affaire, candidature, suggerimenti, conferme o “tagli” sono sul tavolo del sottosegretario alla presidenza del Consiglio Enrico Letta, cui è affidato il difficile compito di mediazione tra opposte spinte politiche. Forse mai come oggi infatti, dall’istituzione del comitato nel 1990, con il governo presieduto da Andreotti, il nome del presidente di questo organismo consultivo, ha richiesto tanto lavoro di “tessitura”. Il serio rischio infatti non è tanto l’eventuale coro di critiche dell’opposizione, quanto una spaccatura netta all’interno del l’Unione, così come sta gia avvenendo su tutti gli argomenti più sensibili, dal testamento biologico alle cellule staminali.
Tramontate, sembra, due candidature forti, l’ex presidente Francesco D’Agostino, due volte nominato dai governi di destra, e tramontata l’ipotesi di Stefano Rodotà, fortemente voluto dall’ala laica dell’Unione, la ricerca del nome si è rivolta all’interno del Comitato. Una proposta sarebbe stata fatta a due giuristi Gilda Ferrando e Donato Busnelli, ma entrambi avrebbero rifiutato. Candidati anche, ma su opposti fronti, il ginecologo e padre della fecondazione artificiale in Italia Carlo Flamigni, appoggiato da buona parte della sinistra e il ginecologo cattolico Romano Forleo, che ha partecipato all’ideazione della legge 40. Ma proprio la netta appartenenza ad uno schieramento piuttosto che ad un altro avrebbe fatto archiviare anche i loro nomi, mentre resta in lizza, sembra, Demetrio Neri, storico della filosofia di impostazione laica. Resta probabile comunque la ricerca di un nome all’interno dell’attuale Comitato e magari una candidatura femminile, in nome di quel segno di rottura e di discontinuità chiesto con decisione nei giorni scorsi da Rifondazione Comunista, Verdi e Rosa nel Pugno.
E forse, per cercare di mettere insieme tutte le “anime” del centrosinistra la scelta potrebbe cadere su un laico (o laica) gradito però ai cattolici della Margherita. L’assenza del presidente del Comitato di Bioetica, proprio nei giorni in cui la drammatica vicenda di Piergiorgio Welby fa il giro del mondo e i radicali proseguono lo sciopero della fame, si accompagna però ad una “proliferazioni” di organismi e istituzioni chiamati a dare il loro parere sui temi dell’origine e della fine della vita. A cominciare ad esempio, dalla Commissione (non comitato) di bioetica voluta da Amato all’inizio della legislatura, e sulla quale il Governo iniziò a litigare per decidere chi doveva entrare e chi restare fuori, e che non si è quasi mai riunita. Passando poi alla neonata commissione sulla “fine della vita” appena nominata dal ministro della Sanità Livia Turco. Una moltiplicazione di ruoli e cariche che però non risolve il problema di fondo, e cioè il muro contro muro su tutte le questioni che hanno a che fare con l’etica.
Lo dimostrano anche le ultime prese di posizione. Marco Cappato, eurodeputato radicale chiede «tempi brevissimi per la nomina del nuovo comitato», e rilancia un nome “eccellente” come quello di Carlo Flamigni o quello della scienziata Elena Cattaneo, in prima linea nella ricerca sulle cellule staminali. Sul fronte opposto l’Udc, con Luca Volontè, lancia un nuovo altolà: «Prodi non può cedere alla coppia Bonino Mussi come ha fatto sull’embrione in Europa, e non può confermare anche sul Comitato di Bioetica il suo permanente ‘disequilibrio’ volto all’estremo laicismo e libertinismo antiumano ».