Sono preoccupati i (pochi) studiosi italiani impegnati nella ricerca sulle cellule staminali estratte da embrioni umani, cellule che ancora conservano la loro capacità di trasformarsi nelle unità fondamentali che costituiscono i diversi tessuti del nostro corpo (totipotenza). Sei gruppi di ricerca (sei), costituitisi in un «Gruppo indipendente» che ha dato vita nella mattinata di ieri a un convegno di studio a Roma per «presentare all’opinione pubblica le nostre ricerche scientifiche e affermare l’assoluta legittimità dei nostri studi». Un incontro durante il quale è stata presentata una lettera aperta indirizzata al presidente del consiglio Romano Prodi con l’esplicito obiettivo di sottolineare che il loro lavoro «non è un inutile optional, ma è doveroso per il progresso della scienza e è una pratica legalmente permessa in Italia».
Per questo hanno deciso di dire basta alla vera e propria campagna di disinformazione animata dai sostenitori dell’astensione alla recente consultazione referendaria sul destino della legge 40 sulla fecondazione assistita. Un’azione pervicace che, come denunciato ieri dall’esperto di procreazione assistita Carlo Flamigni, ha ripreso vigore dopo le polemiche scatenate dalla decisione del ministro dell’università e della ricerca Fabio Mussi di ritirare l’adesione berlusconiana del nostro paese alla cosiddetta «pregiudiziale etica» contro le ricerche sulle cellule staminali embrionali. Questione serissima, ovvero questione di soldi, visto che si trattava dell’ennesimo tentativo di parte cattolica di negare ai gruppi impegnati in tali ricerche l’accesso ai finanziamenti europei che saranno definiti dal VII programma quadro in discussione il prossimo 25 luglio al consiglio dei ministri dell’Unione.
E non a caso negli ultimi tempi si sono moltiplicati gli «incidenti». Come denunciato dal «Gruppo indipendente» la senatrice della Margherita Paola Binetti (ex animatrice del comitato astensionista «Scienza e vita») ha affermato che «ogni ricercatore serio sa che non può utilizzare nuove staminali, anche se provengono dall’estero». Parole pesanti, che riecheggiano quelle del suo collega di partito e capo-delegazione al parlamento europeo Lapo Pistelli occupatissimo proprio nel tentativo di condizionare la destinazione dei fondi europei di ricerca. Ma soprattutto affermazioni senza alcun fondamento, come bene chiarito ieri da giuristi come Amedeo Santosuosso (Corte d’appello di Milano) e Emilio Dolcini (università di Milano).
Per Santosuosso queste inaccettabili confusioni sono frutto di un dibattito che, anche tra gli oppositori alla legge 40, si è concentrato sui suoi aspetti presuntamente etici con il risultato di favorire l’opinione che «nella ricerca biologica tutto sia vietato». Tesi in netto contrasto con il dettato costituzionale e la sua esplicita tutela della libertà di ricerca. Al contrario, ha sostenuto, poiché la legge 40 limita un diritto sancito dalla nostra Carta fondamentale la sua interpretazione non può che essere restrittiva con la conseguenza che persino la tutela dell’embrione (stabilita nell’articolo 1) e dunque il divieto di prelevare da esso cellule staminali verrebbe meno nel caso l’embrione stesso abbia perso la sua capacità di generare un individuo per esempio a causa di un prolungato congelamento. Perché allora non utilizzarli?
Sulla stessa lunghezza d’onda Dolcini, il quale ha ancorato il suo rifiuto della interpretazione vatican-margheritata a una attenta analisi del testo della legge. Risultato: sono senza fondamento le stravaganti ipotesi di divieto esplicito o implicito («nullum crimen sine lege», si insegna all’università…) o addirittura di concorso di colpa tra il ricercatore italiano che riceve le cellule da un collega straniero. E questo per una ragione così semplice da risultare indigeribile per i talebani del «diritto alla vita»: una cellula è cosa ben diversa da un embrione, unico oggetto di tutela da parte della legge.
Non hanno dunque nulla da temere dal quadro legislativo esistente i ricercatori interessati, d’altro canto attentissimi non solo alla piena liceità della loro attività ma anche ai suoi aspetti etici come ricordato nei loro interventi da esperti in materia come Demetrio Neri e Maurizio Mori. L’unico vero pericolo sarebbe rappresentato da una eventuale approvazione del disegno di legge in materia presentato con perfetto tempismo dallo stesso Rutelli subito dopo il referendum: nonostante il suo tranquillizzante preambolo tutto volto a sostenere la volontà di non andare oltre i confini della legge 40, nel suo articolo 1 esso vieta esplicitamente l’uso di cellule.
L’importanza di approfondire le nostre conoscenze in materia è stata chiarita tra gli altri da ricercatori del calibro di Elena Cattaneo (Università Statale di Milano) o Gianluigi Condorelli («La Sapienza» di Roma). Argomenti più che convincenti, inseriti nel contesto di un ragionamento libero da ogni pregiudizio verso linee di ricerca alternative che nel nostro paese hanno trovato ampio spazio sui media e certo non per caso abbondanti finanziamenti. Il riferimento agli studi su cellule provenienti da adulti (o magari da ovociti come annunciato al convegno da Fulvio Gandolfi dell’università di Milano) come è stato esplicito e il giudizio espresso chiaramente anche nel testo indirizzato a Prodi: «Le ricerche sulle cellule staminali embrionali sono necessarie quanto quelle sulle staminali adulte. Non esiste contrapposizione ma complementarietà».
Nonostante le rassicurazioni finali del deputato della Rosa nel Pugno Lanfranco Turci la palla è adesso nelle mani del presidente del consiglio. Da lui i ricercatori si attendono parole chiare, non certo le dichiarazioni a lui attribuite da qualche quotidiano nelle quali il premier sembrava considerare l’assenza di ancora più drastici divieti una svista del legislatore.