Suo padre è importante (quel Ferdinando che baciò una malata di Aids sulla bocca) e lui è un ricercatore di tutto rispetto (ha trovato la cura per una grave malattia genetica: Ada Scid). Ha fatto carriera, come altri in Italia, grazie al papà barone? «Chiedetelo ai miei piccoli pazienti» “Su avanti, me la laccia subito quella domanda su cosa significa essere
il figlio di… Tanto ormai sono abituato. Un tempo me la prendevo, adesso non più” esordisce senza preamboli Alessandro Aiuti. Figlio di Ferdinando, appunto. L`immunologo che ha comunicato primi e meglio di tutti I`Aids in Italia, che ci ha spiegato come e da cosa dovevamo difenderci e non esitò, per dar forza al suo linguaggio, a baciare platealmente sulla bocca una sieropositiva. Ha ragione Alessandro a sbuffare. Perché stiamo cadendo anche noi nella solita tentazione. Parlare dei padre anziché di lui. Che pure ha farina del suo sacco. Romano, 43 anni, professore di Pediatria all’Università di Tor Vergata, è uno dei ricercatori di punta di Telethon, all’ istituto Tiget San Raffaele. Il suo nome è legato alla prima terapia genica per la cura di una malattia rara, l’Ada Scid. Grazie a lui dieci bambini dal destino segnato sono tornati a giocare a pallone e con le bambole. Allora niente domande su suo padre. Tocca a lei. Cosa ha scoperto? “La cura per una grave forma di immunodeficienza congenita, cioè genetica, uno o due casi l`anno in Italia. Patologia rara. In pratica si nasce senza difese immunitarie. Mancano gli anticorpi per la difesa contro le infezioni più sciocche. Chi ha l`Ada Scid può essere ucciso anche dal virus del raffreddore. Un esempio: ai sani per guarire dal mughetto basta una cremina, a questi malati servono dosi massicce di antibiotici e spesso sono inutili. A forza di essere attaccato dalle infezioni l`organismo si arrende, si lascia sopraffare. I bambini più fortunati si salvavano solo se il trapianto di midollo si poteva fare grazie alla disponibilità di un fratellino compatibile”. Come funziona la sua cura? “Abbiamo trovato il modo di prelevare le staminali malate, di correggerle introducendo un gene buono trasportato nella cellula da un virus reso innocuo. Il virus è indispensabile perché sa come entrare nelle cellule e moltiplicarsi. Una volta corrette, le staminali vengono infuse nuovamente e trovano la strada per raggiungere il midollo, moltiplicarsi e produrre i linfociti, cioè le «sentinelle» del nostro sistema di difesa”. Racconti una storia, così è più facile capire. Ricorda un bambino in particolare? “Sì, Enrico, un piccolo brasiliano di due anni e mezzo. Un medico ci contattò attraverso internet. Stava morendo per un`infezione molto grave: tubercolosi. Le sue staminali sono state corrette, coltivate in laboratorio e poi restituite”. È stato lei ad applicare la terapia? Vuole sapere se sono stato fisicamente io a usare la siringa? Sì e ci tengo a dirlo perché prima che ricercatore sono medico. lo non voglio vivere nella torre d`avorio dove vengono idealmente collocati i cosiddetti scienziati. Innanzitutto sono pediatra e amo stare accanto ai malati”. Cosa si nasconde dietro la sua immagine di medico-ricercatore modello, gli occhi azzurri e la faccia da persona per bene? “Un uomo semplice, trasparente. Che ama moglie e figlie, Camilla e Francesca, di 9 e 12 anni. Non ho grilli per la testa. Nuoto, sci, vela, cinema, letture, teatro, il salotto sempre pieno di amici grazie alle straordinarie doti culinarie della padrona di casa che in cucina è una maga. E non solo. Perché mia moglie è formidabile in tutto. Mondanità? Zero. In quanto agli occhi azzurri, sono mezzo tedesco di Amburgo, per parte di madre che, come nota giustamente lei, è molto bella”. La famiglia del Mulino bianco? “Proprio così. D`estate ci ritroviamo tutti insieme nella casa al mare, all`Argentario. Noi, i miei due fratelli con i figli e, naturalmente, i miei genitori. Colazione, pranzo e cena sul prato. Papà ci tratta come fossimo piccoli: «Su Alessandro, va a dormire, ti vedo sciupato»”. Vede però, stavolta è lei che parla di Aiuti senior. E allora ne approfitto. Padre ingombrante? Non le ha dato fastidio essere indicato per tanti anni come il figlio di? “Quel tempo è finito. È vero, ne ho sofferto, mi pesava quando ero giovane. Non che mi vergognassi di papà, anzi ne ero orgoglioso, ma volevo essere considerato per quello che ero. E uno dei motivi che mi hanno portato a Boston, università di Harvard. Nessuno sapeva chi fossi. Quando sono tornato in Italia possedevo un curriculum di tutto rispetto e sono riuscito a liberarmi della mia suscettibilità, di quella sorta di complesso. Che dipendeva essenzialmente da me, sia chiaro. Devo riconoscere che papà non è mai stato invadente”. Cosa le ha insegnato? Correttezza, amore per la medicina e i malati, onestà intellettuale, credere nei valori. Lo seguivo ai convegni, lo ascoltavo incantato mentre conversava con i più grandi immunologi del mondo. Mi ha trasmesso la curiosità tipica di chi fa il mio mestiere. Guardare oltre”. Mai avuto spinte in un`università baronale come la Sapienza? “Tutti pensavano che così fosse. Per togliermi di dosso l`abito del raccomandato studiavo il doppio degli altri studenti. Andavo agli esami preparatissimo”. Dalla cura per l`Ada Scid possono derivare altri farmaci per malattie rare? “Rispondo citando l`editoriale pubblicato sulla rivista New England journal of medicine a gennaio che ha salutato il nostro studio come la prima, grande affermazione della terapia genica e l`avvio di un nuovo corso. Si, credo che questo sia solo l`inizio”.
Aiuti, ecco la cura Diventerà presto un farmaco la terapia genica contro l`Ada Scid messa a punto dal gruppo di Alessandro Aiuti. La Fondazione Telethon chiederà l`autorizzazione all`Emea, l`agenzia europea che esaminai dossier sui medicinali. Ma per lo sviluppo e la produzione c`è bisogno di un partner, di un`azienda. Da molti anni i ricercatori di tutto il mondo inseguono il sogno della terapia genica, che consiste nella possibilità di correggere i difetti genetici all`origine, attraverso l`ingegnerizzazione delle cellule staminali che, una volta corrette, vengono veicolate da una specie di navicella. II mezzo di trasporto di solito è un virus inattivato, reso innocuo e dunque incapace di infettare. Lo stesso principio in teoria si può applicare a tutte le malattie che dipendono da errori dei dna. Salutata 20 anni fa come una svolta, la strada verso la terapia genica si è rivelata più impervia del previsto. Dopo la vittoria sull`Ada Scid i ricercatori contano di avere la meglio su altre malattie genetiche rare e del sangue. Il grande obiettivo è la talassemia. Le prime sperimentazioni cliniche potrebbero partire entro due anni. (M.D.B.)