Quando rileggo la lettera di Piero Welby, quando rileggo quelle parole: “Molti hanno assistito un famigliare, un amico o un congiunto durante una malattia incurabile e altamente invalidante ed hanno maturato la decisione di, se fosse capitato a loro, non percorrere fino in fondo la stessa strada. Altri hanno assistito alla tragedia di una persona in stato vegetativo persistente…”, penso a quanto sia iniquo negare ad un uomo la possibilità di poter dire stop, basta, aiutatemi a morire, liberate il mio corpo e la mia mente, aiutatemi a morire senza dolore.
Credo proprio di essere uno di quegli italiani di cui parla Piero, e sono un convinto sostenitore della necessità di legalizzare l’eutanasia in questo paese. Piero Welby ha chiesto di poter porre fine ad una “vita che non è più vita”, e noi riteniamo che questa sua volontà dovrebbe essere rispettata, e che Piero dovrebbe poter essere aiutato a morire senza provare dolore.
E invece no; in questo paese l’eutanasia è reato, e il corpo di Piero è sotto sequestro. Ha certo ragione Marco Pannella quando afferma: “Piero ha posto un problema del vissuto italiano, quello di una morte italiana ancora oggi fatta di rantoli e sofferenze”. Parlando di eutanasia affiora il ricordo di due film, due piccole perle, che hanno trattato, in questo inizio di XXI secolo, il tema dell’eutanasia. Parlo di “Mare Dentro” e di “Million Dollar Baby”.
Nel film di Amenabar viene pronunciata una frase, una di quelle che ti restano dentro: “Gli altri tetraplegici non si offendano per la mia decisione, ma io non giudico chi vuole vivere e vorrei che loro non giudicassero me.” In “Million Dollar Baby” a colpire è il rapporto di grande compassione tra il coach Eastwood e il pugile Hilary Swank. Leonardo Sciascia, in “il Cavaliere e la Morte”, ha scritto: “Non voglio morire coi religiosi conforti della scienza: che non solo sono religiosi quanto gli altri, ma strazianti in di più. Se mai sentissi il bisogno di un conforto, ricorrerei a quello più antico.” Quel che è certo, è che nel sentirmi vicino a Piero e alla sua lotta, per quanto possa ad alcuni apparire strano, io sento di dovergli dire grazie. Grazie per aver saputo, con parole che io non avrei saputo usare, dar voce alla mia convinzione che è necessario legalizzare l’eutanasia. Un uomo deve poter scegliere, quando ciò che rimane non è più vita.
Legalizziamo, facciamolo questo passo in direzione di un’altra Europa. Occorre dar forza alla lotta di Piero, che era di Loris Fortuna, era ed è di Marco Pannella, di noi laici, liberali, socialisti, radicali. La lotta di Luca e dell’Associazione che porta il suo nome