Dobbiamo ribellarci contro una legge liberticida e illiberale

 Dichiarazione di Mina Welby, membro di direzione dell’Associazione Luca Coscioni

Devo constatare con grande preoccupazione i termini con cui il Prof. Francesco D’Agostino e la Sottosegretaria alla salute, Eugenia Roccella, si esprimono circa il rifiuto consapevole di tutte le terapie salvavita della signora di Treviso, affetta da una malattia degenerativa. 

Mi ricorda molto il ricorso al Tribunale di Roma di mio marito Piero Welby, nel dicembre 2006, quando mise in atto la sua disobbedienza civile, sostenuto dall’Associazione Luca Coscioni nella persone di Marco Cappato e  Marco Pannella e aiutato dal medico Dott. Mario Riccio. 
Ricordo le controversie tra la Procura di Roma, che sui risultati dell’autopsia sul corpo di mio marito, volle archiviare il caso, mentre il Gip continuò le indagini per poi comunicarmi, quale parte lesa, l’incriminazione coatta del medico. Finalmente il 23 luglio 2007 Mario Riccio fu prosciolto,  in base all’art. 51 cp con il commento che il medico aveva agito adempiendo un suo dovere professionale nei confronti del paziente.

 
Certamente serve una legge sulle disposizioni anticipate di trattamento, ma non questa che sta in attesa di approvazione al Senato: una proposta che è incostituzionale perché calpesta la dignità e la libertà delle persone, considerate non più pienamente persone quando diventano incapaci. 
Disposizioni anticipate si danno proprio per l’evento di perdita delle proprie capacità. Questa libertà viene negata da questa legge liberticida e incriminatoria. 
Spero che molti pazienti e medici coraggiosi inizino a ribellarsi e a ricorrere alla magistratura per ottenere una revisione e annullamento di questa illiberale legge. Una legge di cui non si è affatto parlato nelle tribune e nei salotti televisivi, perché alla stampa di regime fa paura il parere dell’80% degli italiani che invece è a favore del testamento biologico. Una legge approvata alla Camera solo per l’ennesima genuflessione alle gerarchie vaticane. Da donna cristiana non mi sento tuttavia di appartenere ad uno Stato bio-etico indifferente alla sofferenza umana, come quella patita da mio marito.