La criminalizzazione cattolica dell’eutanasia non va sottaciuta ma debitamente sottolineata e criticata.

Che la posizione cattolica ufficiale sull’eutanasia sia di ferma e persistente condanna è un fatto su cui ho insistito da sempre nei miei scritti, impegnati a mettere in evidenza, contro ogni tentativo di occultamento, le differenze paradigmatiche fra il pensiero del Magistero e il pensiero di matrice laico secolare. Tale condanna ha trovato una nuova e inequivocabile espressione nella Lettera della Congregazione per la Dottrina della Fede Samaritanus bonus, approvata dal papa e pubblicata il 22 settembre. In essa troviamo infatti elencati in modo chiaro ed esaustivo i principali motivi che, dal Concilio Vaticano II a papa Francesco, hanno spinto la Chiesa cattolica a scorgere, nelle pratiche eutanasiche, una manifestazione di ciò che la Evangelium vitae di Giovanni Paolo denomina  “cultura della morte”.

Nella fattispecie, muovendo dalla persuasione che non esiste alcun “diritto” a disporre liberamente della propria vita e proponendosi di escludere ogni ambiguità circa l’insegnamento del Magistero sull’eutanasia e sul suicidio assistito «anche in contesti dove le legislazioni nazionali hanno legittimato tali pratiche» la Lettera della Congregazione ribadisce in modo categorico – e a titolo di insegnamento «definitivo» – che l’eutanasia è un «crimine contro la vita umana» e quindi un atto intrinsecamente malvagio «in qualsiasi occasione e circostanza». Atto che viene assimilato a un vero e proprio «omicidio» contrario al diritto naturale, alla dignità umana e a ogni giusta convivenza. Da ciò il perentorio divieto di qualsiasi cooperazione a tale comportamento, che nessuna autorità può imporre o permettere e l’idea sendo cui le pratiche eutanasiche rappresentano una «sconfitta» di chi le teorizza, di chi le decide e di chi le pratica. Questa rigidità dottrinale si accompagna a una rigidità pastorale esemplificata dalla direttiva secondo cui «una persona che si sia registrata in un’associazione per ricevere l’eutanasia o il suicidio assistito debba mostrare il proposito di annullare tale iscrizione, prima di ricevere i sacramenti».

Francamente, che la Chiesa cattolica abbia sentito il bisogno di ribadire in modo energico e duro le proprie posizioni – nel tentativo di porre un argine alla sempre più diffusa apertura nei confronti dell’eutanasia (non dimentichiamo che  75 italiani su 100 si dichiarano favorevoli ad essa) e con lo scopo di ostacolare una sua possibile legalizzazione – non mi sorprende. Mi stupisce piuttosto che la riproposizione dell’assoluto divieto del suicidio assistito, che la Corte costituzionale rende invece possibile in talune circostanze, non abbia suscitato il dovuto clamore e scalpore fra gli opinionisti. Nella fattispecie, mi stupisce il silenzio dei cattolici progressisti e il fatto che alcuni giornali nazionali si siano limitati a riportare in modo scarno e distaccato la notizia, senza entrare criticamente in merito ai suoi contenuti. Come se il considerare il suicidio assistito un crimine (e dei criminali di fatto coloro che se ne fanno promotori e partecipi) fosse un evento poco importante o meno importante, ad esempio, delle dichiarazioni post voto di qualche politico.

Di conseguenza, acquistano ancora più valore sia il pronto e coraggioso intervento di Marco Cappato, che ha visto nel Samaritanus bonus un atto di «sfida esplicita e frontale» contro la sentenza della Corte costituzionale, sia le parole di una credente come Mina Welby, che ha evidenziato ancora una volta le incongruenze del cattolicesimo ufficiale, il quale se da un lato parla di comprensione, di aiuto e di dignità dall’altro si oppone a una legge sul fine vita finalizzata a dare un contenuto concreto a questi sbandierati valori.

All’opposto, l’impostazione mediatica prevalente, pronta a celebrare le innovazioni del pontificato di Francesco, tende invece a rimpicciolire o a passare sotto silenzio certe sue posizioni conservatrici, destinate a limitare  i diritti dei cittadini e a protrarre le loro sofferenze. In realtà, nella Chiesa di Francesco coesistono posizioni progressiste e posizioni conservatrici e queste ultime non vanno occultate o minimizzate, ma debitamente rimarcate e, all’occorrenza, apertamente contestate. Altrimenti si rischia di favorire, in Italia, un perdurante atteggiamento di sottomissione ai poteri forti della Chiesa. E ciò a scapito delle istanze di libertà presenti sia nel mondo laico sia in quello cattolico.