«Cure pericolose» Bocciata Stamina

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Avvenire
Francesca Lozito

«E’ pericoloso». No alla sperimentazione del metodo Stamina. Una bocciatura netta, decisa e motivata quella che arriva dal ministro della salute. Beatrice Lorenzin ieri ha sgombrato il campo da qualsiasi possibilità di procedere con la sperimentazione pubblica per «evitare potenziali rischi agli utenti del servizio sanitario nazionale». Così si legge infatti nel parere chiesto dal ministro all’Avvocatura di Stato, che ha articolato le ragioni per cui, contrariamente a quanto aveva previsto la legge votata a maggio in Parlamento, ora la Lorenzin dice no. Senza incoerenza, perché proprio la legge prevedeva l’analisi di fondatezza del metodo. Non curano le iniezioni di cellule staminali del midollo osseo di Stamina. Vanno a finire in mezzo ai neuroni senza “trasformarsi” in questo tipo di cellule e dunque sono pericolose. Anche perché le iniezioni vengono ripetute più volte (minimo 10, cinque attraverso il midollo, cinque attraverso il sangue). Nelle ultime settimane poi il movimento di sostegno a Stamina ha tentato di forzare la mano e di chiedere per alcuni pazienti di andare oltre le cinque infusioni).

Ci sono inoltre rischi di trasmissione di virus e malattie per chi utilizza le cellule di donatori “altri”, anche non familiari, ai quali non sono state fatte analisi preventive. Sono solo alcuni degli aspetti più inquietanti emersi dall’analisi delle carte consegnate da Davide Vannoni all’Istituto superiore di sanità e sottoposte ad una commissione di esperti di caratura internazionale. Assenza di requisiti scientifici, di sicurezza e mancanza di originalità del metodo sono le tre motivazioni riassuntive. E colpisce come esse siano assolutamente in linea con quanto affermato un anno e mezzo fa dall’Agenzia italiana del farmaco che, a seguito dell’Ispezione dei Nas, aveva interdetto al laboratorio degli Spedali civili di Brescia la possibilità di produrre questo tipo di cellule. Proprio per mancanza di condizioni di sicurezza di base. Salvo poi la forzatura del blocco per effetto della sentenza dei giudici del lavoro che, in varie parti d’Italia, hanno imposto la cura di Stamina sulla base di un vago principio di libertà di cura e uguaglianza dei trattamenti. Cosa succederà ora ai centoventi malati in lista d’attesa a Brescia? Stamina ha presentato un ricorso al Tar di cui si attende risposta a giorni proprio per far decadere l’ordinanza Aifa del maggio 2012.

Brescia si trincera dietro un burocratico «prendiamo atto» mentre il Partito democratico lombardo per bocca del suo esponente Gianni Girelli chiede alla Regione Lombardia di fare chiarezza sulla situazione dell’ospedale in cui si pratica un qualcosa di pericoloso. Intanto Vannoni sta mettendo a punto una strategia di penetrazione regionale che vedrebbe la Sicilia come prossimo fronte. Qui può contare sull’appoggio del Movimento vite sospese che ha guidato le manifestazioni di protesta. Ma alla luce del parere negativo del Comitato regionale di bioetica, chiesto nei mesi scorsi dall’assessore Lucia Borsellino, sarà veramente difficile che il metodo Stamina venga praticato in altri ospedali pubblici. Sono partiti immediatamente i cori di insulti contro il ministro e la commissione scientifica da parte dei sostenitori di Stamina, Vannoni in primis. Ma la Lorenzin ha subito risposto invocando «pudore e riserbo» nei confronti dei malati proprio sulla base delle «evidenze scientifiche che fanno fare un passo indietro alla politica». Paola Binetti di Scelta civica raccoglie l’affermazione del ministro e rilancia: «Proprio per non lasciare soli i malati occorre attivare al piu presto delle serie reti scientifiche». Il titolare del dicastero della sanità ha deciso infatti che quei tre milioni di euro inizialmente previsti perla sperimentazione andranno ora alla ricerca sulle malattie rare.