Il nuovo caso Di Bella. Tregua sulle cure con le staminali

Il Fatto Quotidiano
Marco Lillo

Tregua. Quella che è stata raggiunta ieri nella guerra delle cure staminali non è certo una pace duratura ma un periodo di 18 mesi nei quali i due fronti contrapposti dovrebbero cooperare per il bene dei pazienti. La cura basata sull’iniezione delle cellule staminali mesenchimali, proposta in Italia dal dottor Davide Vannoni, presidente della Stamina Foundation, presenta tutti gli ingredienti per diventare un nuovo Caso Di Bella. Alla fine degli anni novanta l’Italia si divise intorno all’anziano medico con i capelli bianchi che sosteneva di poter curare il cancro. Il ministro Rosi Bindi ne uscì con grande difficoltà mediante una sperimentazione conclusa con una bocciatura. Ieri il ministro della salute Beatrice Lorenzin ha dimostrato una buona abilità nello slalom tra il rispetto della normativa Europea e le pressioni mediatiche. Il risultato è un compromesso che scontenta tutti ma che tutti accettano. Tanto che la sperimentazione vigilata del cosiddetto “Metodo Stamina”, è stata approvata quasi all’unanimità.

LA STORIA si trascina almeno dal 2009 quando Vannoni, dopo aver testato la cura su di sé in Russia per una paresi facciale, crea la Stamina foundation a Torino per diffondere la terapia cellulare. La terapia non è riconosciuta e Vannoni all’inizio chiede anche soldi ad alcuni pazienti. Il pm di Torino Raffaele Guariniello indaga Vannoni e una decina di collaboratori per associazione a delinquere ma Vannoni trova asilo agli Spedali di Brescia. Nel 2011 Stamina Foundation firma un accordo con l’azienda sanitaria lombarda e – usando il varco della legge Turco-Fazio del 2006 che disciplina l’uso della terapia cellulare permettendola nei cosiddetti casi ‘compassionevoli’ – inizia a praticare in un ospedale pubblico il trattamento “Stamina”. Guariniello, che aveva chiuso la sua inchiesta sulle terapie a pagamento nei laboratori privati italiani e di San Marino, la riapre. Dopo un’ispezione a Brescia del maggio 2012 condotta dal Ministero della Salute con Aifa, Cnt e Carabinieri del Nas, l’autorizzazione a operare agli Spedali viene revocata. Da quel momento i pazienti tentano la via dei Tribunali. Una quarantina di casi vengono risolti d’urgenza dai giudici civili che autorizzano le cure compassionevoli. Una famiglia però si vede rigettare il ricorso d’urgenza presentato a Firenze ex articolo 700, e si rivolge alla trasmissione Le lene. La piccola Sofia diventa un simbolo: si è ammalata quando aveva un anno e mezzo di leucodistrofia metacromatica e la mamma racconta in tv che ha tratto giovamento dalle cure, bruscamente interrotte. “Non è possibile che in un paese civile”, dice la mamma “un magistrato possa decidere per un bambino sì e per un altro no. La legge è uguale per tutti e anche la salute è uguale per tutti”. Ed è proprio questo il problema che terrorizza i tecnici del ministero della salute. Ci sono 15 mila richieste di trattamento presentate alla Fondazione di Davide Vannoni. Se tutti i casi fossero seguiti come vuole il ministero, e come Vannoni non ritiene necessario, cioè con il metodo GMP più sicuro e costoso, si arriverebbe a una spesa di 450 milioni, perché il costo per la terapia cellulare salirebbe a 30 mila euro a paziente.

IL COMPROMESSO approvato ieri tende a disinnescare questa mina emotiva ed economica che potrebbe però riesplodere presto. Per capire il contesto bisognava essere in Piazza del Parlamento lunedì. La scena era questa: l’inviato delle lene Giulio Golia insegue il deputato del Pd Ivan Scalfarotto fin dentro una libreria, seguito dai genitori dei bambini malati. Il papà di un bambino scavalca il giornalista e chiede al deputato: “Mi scusi ma quando le dicono che suo figlio ha solo tre mesi di vita e poi arriva a un anno e sette mesi grazie alle infusioni e ci sono notevoli miglioramenti, lei come lo chiama? Avete qualcosa di meglio da darci?”. Scalfarotto: “No no, noi abbiamo solo il dovere di introdurre elementi di razionalità. Se la legge per un reato di un mio parente la faccio io, non va bene. A questo serve la politica! Almeno finché riesce a resistere all’antipolitica. Noi dobbiamo essere sicuri che c’è una ripetibilità dell’esperimento e non solo un effetto placebo”. Golia: “Onorevole, pardon, ma un effetto placebo su un bambino di un anno e mezzo non è possibile”. Scalfarotto: “Va bene, allora vorrà dire che è scientificamente provato. Così però si corre il rischio di far passare Lourdes”. Golia: “Ma chi va a votare oggi non è all’altezza perché non ha parlato con i genitori”. Scalfarotto “Non è vero si sta facendo un lavoro serio”. Genitore del bambino: “È vero invece, nessuno ci ha contattato” Scalfarotto: “Allora mi dica se lei pensa che siamo pazzi o in mala fede. Noi stiamo cercando di ristabilire il principio che le cure devono essere testate, come si prevede nella comunità internazionale per evitare che facendo leva sulla situazione di persone che hanno malattie non curabili, ci siano altre persone che approfittano dei malati”. Mamma: “Lei venga a Palermo e venga a vedere Gioele”. Secondo papà: “È questo che è sbagliato lei deve conoscerli (i bambini, ndr)”. Terzo papà: “Mi scusi io prima avevo una cura e ora quando l’avrò la cura?”. Scalfarotto: “Se sarà provato che funziona questa cura l’avrete”.

IN QUESTO CLIMA il testo votato ieri non è un compromesso da disprezzare. La legge approvata dal Senato prevede che il ministero della Salute, avvalendosi dell’Agenzia del farmaco, Aifa, e del Centro Nazionale Trapianti promuova una sperimentazione clinica, coordinata dall’Istituto Superiore Sanità sul metodo Stamina. La sperimentazione sarà “condotta anche in deroga alla normativa vigente e da completarsi entro 18 mesi dal 1 luglio 2013”. La condizione che il ministro Lorenzin voleva e che invece il dottor Vannoni e la sua Stamina Foundation non gradivano è che questi medicinali, “per quanto attiene alla sicurezza del paziente siano preparati in conformità delle buone pratiche di produzione (Gmp). Lo studio però sarà pagato dallo Stato per tre milioni.