SUPERMAN (La Stampa)

<b>3 febbraio 2004</b> – LOS ANGELES LE lesioni della spina dorsale erano considerate incurabili, fino a qualche anno fa. Chi ne ha sofferto, sostenevano a una voce luminari della scienza e medici della mutua, deve rassegnarsi al suo destino e adattarsi a vivere su una sedia a rotelle.

Oggi la situazione è drammaticamente cambiata, e la vicenda di come si è arrivati a questo cambiamento costituisce uno dei più curiosi episodi della storia della scienza. Ma prima è bene chiarire quanto errata fosse l'opinione tradizionale. La mia guida è Hans Keirstead, 36 anni, il primo dei tre professori assunti dal Reeve-Irvine Research Center dell'Università di California (sede a Irvine), un istituto interamente dedicato alle lesioni della spina dorsale. Keirstead è canadese, dottorato a Vancouver, esperienza a Cambridge, quindi la California. Il motivo lo dichiara senza esitazioni: qui c'è molto denaro e il denaro muove la ricerca rapidamente. Buona parte del danno che segue a una lesione della spina dorsale è causato da una reazione autoimmunitaria. Non si sa esattamente che cosa accada; sembra che le cellule avvertano la presenza di un ambiente ostile e si distruggano da sole. Al loro posto si formano cavità che si riempiono di fluido e poi si cicatrizzano, limitando sempre più la funzionalità nervosa. Oggi però è possibile bloccare questa reazione e limitare i danni con risultati sorprendenti. Keirstead è riuscito a coltivare cellule embrionali (cellule indifferenziate, che possono trasformarsi in cellule qualsiasi) traendone una popolazione di cellule cerebrali; queste ultime vengono iniettate nella parte lesa contribuendo alla rigenerazione. Edgerton, un neuroscienziato dell'Ucla, ha introdotto l'idea che un paraplegico possa riacquistare la memoria di come si cammina se viene fatto camminare a lungo da una macchina: i suoi arti vengono fatti muovere meccanicamente e i relativi circuiti nervosi vengono così risvegliati dal loro torpore. Uno studioso di St. Louis ha stimolato elettricamente le zampe di ratti cui si era recisa la spina dorsale e ha quindi osservato una crescita fino all'ottanta per cento delle loro cellule neuronali. Un chirurgo cinese ha iniettato cellule olfattive, le uniche che si rigenerano costantemente, nella colonna vertebrale di pazienti paraplegici e li ha visti riprendere alcune funzioni motorie e sensoriali. Come si è arrivati da un totale pessimismo a simili fuochi d'artificio? La risposta è contenuta nel nome stesso del centro di Irvine: il Reeve che vi compare è Christopher Reeve, il Superman di quattro film di successo. Nel 1995 Reeve, come è noto, cadde da cavallo e rimase paralizzato dal collo in giù. La prognosi era che non si sarebbe più mosso; ma lui rifiutò di crederci. Con feroce determinazione ha proseguito nella fisioterapia e si è sottoposto a esperimenti di ogni genere; adesso è in grado di muovere le gambe quando è immerso nell'acqua, di esercitare pressione con le braccia e di sollevare un dito, e ha anche ricominciato a provare sensazioni tattili. Fra i miti che i suoi progressi hanno infranto, c'è quello che un paraplegico migliori solo nei primi sei mesi dopo la lesione: Reeve ha continuato a migliorare per anni, con intensità crescente. Fin qui la storia personale. Quel che più conta è che Superman conduce la sua battaglia anche a livello pubblico. Partecipa a conferenze, fa pubblicità in tv, soprattutto dirige la Christopher Reeve Paralysis Foundation, che offre oltre 13 milioni di dollari in borse di ricerca ogni anno; invita il governo federale e vari Stati dell'Unione a sostenere la sperimentazione con cellule embrionali (la California e il New Jersey hanno approvato leggi in questo senso). E ha dato il suo nome al centro di Irvine, che ne ha tratto grande popolarità e milioni di dollari in donazioni. Asserisce di fare tutto questo perché ha fretta: ha 51 anni e non vuole essere troppo vecchio quando camminerà ancora. Intanto il suo sfrenato attivismo ha dato luogo a un'autentica rivoluzione. Reeve è impaziente nei confronti della scienza ufficiale. Afferma che, una volta ottenuto un posto sicuro, i professori di prestigio se la prendono comoda, con eccessiva cautela. Al loro confronto, un «ragazzo» come Hans Keirstead è un dono del cielo: ambizioso e intraprendente, vuole abbreviare la procedura di controllo per la sperimentazione dei suoi ritrovati sugli esseri umani e ha fondato una ditta cinghia di trasmissione tra la ricerca universitaria e le industrie farmaceutiche. Gli interessi economici sono enormi (quanto potrebbe valere il brevetto per una terapia di successo?), quindi non è strano che Keirstead trovi ampio sostegno per il suo lavoro. I colleghi anziani lo guardano con sospetto e talvolta paternamente gli consigliano un comportamento più tradizionale. Reeve, allora, li cita in pubblico a esempio di come una scienza timorosa e conformista non serva la comunità. Sollevando così interrogativi inquietanti: è giusto che lo sviluppo della conoscenza sia guidato dai desideri di persone singole? È giusto che questi desideri contino di più quando si tratta di persone ricche e famose? È giusto avere fretta quando si corrono dei rischi? D'altra parte, è possibile fare ricerca con una mentalità avversa al rischio?