Se si è verdi l’embrione non si tocca, parola di Mattioli

“Ho criticato e continuo a criticare ferocemente il referendum, ma non dicodi non andare a votare. Bisogna andarci, eccome”. Quello sulla legge 40 è un referendum sbagliato, secondo il fisico Gianni Mattioli, ambientalista della prima ora, ex ministro del governo Amato e oggi assai lontano dai suoi ex compagni verdi.
Ma a questo punto è anche, dice al Foglio “un’occasione di pronunciamento su temi che il movimento agita da sempre, tra i quali è centrale quello del limite alla manipolazione della vita, e soprattutto della vita umana”. Ma di tutto questo è come se si fosse persa traccia, a giudicare dalla posizione dei verdi sul referendum, come ha sottolineato anche l’Avvenire due giorni fa. Per capire come mai, dice Mattioli “bisogna ricostruire ciò che è avvenuto dal 1987 a oggi, Fu quello l’anno in cui come verdi entrammo in Parlamento, e anche l’anno in cui Alexander Langer accolse con favore l’Istruzione vaticana sulla bioetica del cardinale Ratzinger, che rifiutava ogni forma di manipolazione genetica.

Durante una tribuna elettorale, sostenni, per motivi non di carattere religioso ma strettamente scientifico, che in nessun momento la natura mostra una discontinuità nel processo che va dalla fecondazione dell’ uovo al bimbo nella pancia materna, e poi fuori della pancia. Nessuno penserebbe di ammazzare il bambinetto, ma risalendo all’ indietro, alla ricerca di ‘quando’ questo sarebbe possibile, scopre che quel momento non – Mattioli scandisce con forza quel “non c’è”.
Convinto, da scienziato, che dalla fecondazione alla nascita “il processo è assolutamente continuo. In quella tribuna elettorale di quindici anni fa concludevo che certo, possono esserci motivi tragici, dei quali non è arbitro il codice o il tribunale ma la donna che porta in grembo quell’ uovo fecondato. E dicevo anche che l’aborto è una cosa gravissima a cui si può ricorrere soltanto in circostanze eccezionali, perché significa recidere una vita umana”.

Da quel convincimento discende, secondo Mattioli,”il no all’uso degli embrioni a scopo di ricerca. Tanto più che non c’è nessun motivo per sostenere che le cellule staminali prodotte dall’embrione siano più utilizzabili di quelle somatiche. A questo proposito, ricordo un bel libretto che l’allora ministro della Salute, Umberto Veronesi, distribuì a noi colleghi nel governo Amato. Quel libretto illustrava le straordinarie potenzialità delle staminali ottenute per vie diverse dall’utilizzazione di embrioni”. E non si capisce proprio, continua Mattioli, “perché dovremmo creare questo dramma, la rottura di un processo che porta alla vita. Giustificandolo con le necessità della ricerca, dal momento che la ricerca apre altre vie più fruttuose”.

Gianni Mattioli ricorda che per molto tempo posizioni come la sua furono patrimonio comune e indiscusso del movimento verde, e che soprattutto da parte delle donne ci fu un apporto costante di elaborazione nello stesso senso. E allora? “Allora, fin dall’ inizio, nelle liste verdi convivevano due anime. Una veniva dai movimenti, come quello antinucleare, e dalle grandi associazioni ecologiste. E poi c’era la componente più ‘politica’, radicale e demoproletaria. Tra queste due anime c’è stata sempre una profonda differenza, e alla fine chi veniva dalla pratica di movimento si è ritrovato ai margini. L’area politica si è ricollegata alle proprie matrici culturali, in primo luogo quella radicale, dove si è formato per esempio Pecoraro Scanio”, che oggi detta la linea. Rignardo ai referendum Mattioli dice che voterà no a tre quesiti, ma che “nel momento in cui si ammette la pratica di fecondazione in vitro, non si capisce il divieto del l’eterologa”.

La cosa importante, conclude, e ‘ridurre al minimo essenziale i danni. Tra la maggior sofferenza della coppia e della donna da una parte e recisione di una vita dall’altra, se si sceglie il percorso dell Fiv bisognerà seguirlo con il minor numero possibile di embrioni da impiantare”.