Il porporato ha appena finito di dare alle stampe “Nuovi segni dei tempi” (edito da Mondadori, in libreria dopo Pasqua), un volume in cui affronta il nodo centrale del confronto tra fede e mondo attuale: la “questione antropologica”. Si tratta della visione dell’uomo, del rapporto con il trascendente in un’era dominata dalla razionalità tecnico-scientifica. E una prima risposta, tagliata sull’Italia di oggi, è questa: “Le riserve etiche e di senso della nostra società vengono in gran parte dalla tradizione cristiana e in Italia la religione ha una vitalità anzitutto nella popolazione”. Il corollario? “Quindi è un interlocutore che va preso sul serio, con un peso pubblico rilevante, e la Chiesa continuerà ad avere quel ruolo pubblico che ha sempre avuto”.
Cardinale Ruini, il Congresso americano interviene per Terri, i conservatori inglesi chiedono di abbassare i limiti di tempo per l’aborto, in Italia la Chiesa si mobilita per il referendum sulla procreazione. Sta esplodendo in Occidente una questione-vita?
“Certamente la questione-vita riprende forza sui due versanti dell’inizio e del termine dell’esistenza. Il problema viene percepito con nuova acutezza non solo perché oggi sappiamo di più sui processi vitali ma soprattutto perché la legislazione affronta temi che un tempo si davano per scontati: cioè che la vita doveva avere il suo corso naturale e non andava toccata”.
Secondo lei, gli Stati Uniti anticipano il dibattito?
“Penso di sì. Non solo per il tema della vita, ma per tutto ciò che riguarda gli interventi delle biotecnologie sull’essere umano. Gli sviluppi delle scienze e i mutamenti del costume fanno sì che questi problemi delicatissimi diventino questioni di etica pubblica di straordinaria rilevanza, temi di un grande dibattito pubblico culturale, politico, religioso”.
Che cosa è in gioco?
“La concezione dell’uomo. Se considerarlo solamente una particella di natura o un essere dotato di una sua dignità unica”.
L’uomo non è parte della natura?
“Naturalmente sì. Ma è solo questo o qualcos’altro? Per la religione cristiana e le altre religioni monoteiste l’uomo è immagine di Dio e ha una sua dimensione reale, che è spirituale e non solo materiale”.
Si può spiegare in termini non teologici?
“L’uomo è quell’ essere che trasforma la natura, progetta e costruisce il suo divenire e produce cultura. Quindi non è totalmente sottoposto ai determinismi fisici, chimici e biologici come gli altri esseri viventi. In ultima analisi l’interrogativo è se l’intelligenza umana si riduca soltanto ad un organo sensibile più sviluppato oppure se il suo agire non si limiti solo alle facoltà sensibili, ma rimandi a qualcosa di più”.
Un qualcosa che è…
“Spirito, cioè una realtà diversa da quella naturale. Se l’universo non è soltanto materia e necessità, se emerge anche la libertà, siamo rimandati al trascendente”.
Lei è intervenuto nel dibattito sul referendum, sottolineando che è in gioco una questione antropologica. C’è chi dice che si è mosso come capo politico.
“E’ difficile credere che su queste materie debbano esprimersi solo i leader politici. Se la Chiesa, se le istanze culturali ed etiche non possono esprimersi su temi del genere, non saprei su cos’altro. Riguardano anche la politica, ma non solo la politica”.
Sono scoppiate polemiche. Si afferma che la Cei ripropone una specie di Non Expedit, esortando al non-voto.
“Si fa confusione. Il Non Expedit di un secolo fa voleva dire non partecipare alla vita politica. Noi non diciamo “non votate alle elezioni”. Riteniamo soltanto utile non votare in questo referendum, come prevede la costituzione stessa”.
Portare una visione religiosa nel dibattito politico non ripropone il confessionalismo?
“Non si tratta di ritornare indietro nella storia. Quando si afferma l’importanza anche pubblica del cristianesimo, non si pensa ad una società sacrale, tipo Medioevo, non si torna indietro rispetto alla distinzione fra Chiesa e Stato o al riconoscimento della libertà e del pluralismo. Sostengo che c’è un nuovo modo di guardare alla libertà religiosa, come l’ha formulata il Concilio, cioè senza confinare le religioni nel privato e senza dover togliere la rivendicazione di verità delle religioni stesse”.
Che cosa è cambiato secondo lei?
“Da Locke in poi libertà religiosa voleva dire che le religioni non dovevano vincolare la vita pubblica semplicemente perché la loro verità non era sicura e non aveva rilevanza di fronte al tribunale della ragione. Ma credo che oggi l’idea, diffusa in passato, che la democrazia abbia bisogno del relativismo – su questo il Papa si è espresso con grande chiarezza – sia superata. Relativismo è diventato un termine negativo, tutti ne prendono le distanze”.
Non è imbarazzante vedere ex libertini diventare fautori integrali di una civiltà basata sui valori cristiani?
“La parola libertino ha vari significati…”.
Prendiamo quello di libero pensatore in uso ai tempi dell’Illuminismo.
“Non credo siano diventati credenti, che è altra cosa. Per me vuol dire rapportarsi a persone, che magari per ragioni di ordine storico, politico o di evoluzione culturale ritengono che mettere tra parentesi la nostra eredità cristiana sia molto pericoloso e indebolisca la nostra società”.
Lei condivide quest’ opinione.
“Già prima che se ne parlasse, ero intervenuto alla Cei – e ne accenno anche nel mio libro – dicendo che le riserve etiche della nostra società vengono in gran parte dalla tradizione cristiana. A forza di contestarle e di reprimerle, poi viene una crisi di eticità e di significato”.
Succede che il richiamo alla cristianità venga brandito come una clava da alcune forze politiche.
“Da noi in Italia il dibattito si lega spesso a posizioni politiche in un senso o nell’altro. Nel lungo periodo, e anche qui l’America è più avanti di noi, questi temi diventeranno trasversali”.
Come distinguersi dai teo-con?
“Bisogna vedere chi sono! Tra di loro ci sono credenti in senso proprio e altri no. Certamente non ci si può richiamare al cristianesimo, senza accettare la sua logica interna. Per esempio, per quanto riguarda i rapporti con le altre civiltà, non possono essere visti in termini di scontro. Il cristianesimo è per un rapporto pacifico, costruttivo, di integrazione. E poi non basta solo un approccio culturale al cristianesimo. Da cristiani bisogna cercare di vivere”.
Lei sostiene che il cristianesimo può e deve dare il suo apporto per l’identità nazionale del nostro paese.
“Credo, intanto, che il solo approccio della razionalità scientifica non possa dare vita ad una civiltà, specie nell’era della globalizzazione. E nemmeno la posizione di chi sostiene la relatività di tutti i valori ultimi e la loro insignificanza per la vita collettiva”.
E allora?
“Ritengo che la razionalità tecnico-scientifica dell’Occidente possa benissimo essere fermentata dal di dentro dalla visione del mondo che ha le sue radici nella classicità e nel cristianesimo. Perciò penso che vada superata l’idea che la religione, e anche la filosofia, debba essere qualcosa di privato, senza rilevanza pubblica”.
Che apporto può dare il cristianesimo alla società attuale?
“Il primo valore è quello della persona. Il secondo è quello dell’amore fra gli uomini. Il terzo quello della libertà”.
E nel rapporto con le altre religioni?
“Proprio in un approccio non in positivo il cristianesimo può stimolare le grandi religioni ad accogliere questi valori. Ma bisogna che le altre religioni vedano l’apertura agli altri non come negatrice di se stesse, come qualcosa che fa perdere la loro identità. Altrimenti si chiudono a riccio. Invece va mostrato che si può essere un buon musulmano, credere nel Corano e in Allah, pur in un atteggiamento di tolleranza e di rispetto della libertà altrui”.
Vede segni nuovi nell’Islam?
“Mi pare di scorgere uno sviluppo positivo, non solo nel senso della democrazia ma anche nel senso dell’idea di un Islam che per avere un futuro deve aprirsi, riconsiderare la questione della donna, incontrarsi con la modernità. Anche il cristianesimo ha ricevuto molto dalla modernità. Sarà così con l’Islam. Ci saranno turbolenze, ma credo che l’accoglierà”.
Nel suo libro c’è un’annotazione curiosa. Nel clero, lei dice, ci sono ancora troppe influenze marxiste.
“Mentre nella cultura laica italiana e tra gli esponenti di sinistra c’è stata dopo la caduta del Muro di Berlino una virata molto rapida, nel mondo ecclesiastico – non tutto, per carità – si è rimasti tributari di un certo approccio, di un certo linguaggio”.
Perché?
“Probabilmente perché si era idealizzato il marxismo, non lo si vedeva come una ricetta politica ma come qualcosa di utopico, quasi religioso. E quindi meno confutabile dall’insuccesso storico”.
Eminenza, c’è un timore diffuso che la Chiesa oggi voglia sostituirsi a una Dc che non c’è più, guidare la mano agli elettori, mettere a rischio l’autonomia della politica.
“Vedo che questa paura c’è. Un giorno sì e un giorno no siamo costretti a ripetere che non vogliamo coinvolgerci nella dialettica politica. Pensare alla Chiesa come a un soggetto partitico è fuorviante, non abbiamo nessuna velleità del genere. Ma la Chiesa ha sempre avuto nella storia un ruolo pubblico e continuerà ad averlo. Il referendum? Un’indicazione di voto in questioni etiche c’è sempre stata. Poi ognuno vota liberamente, dal punto di vista giuridico. Ma dirò che abbiamo ricevuto molti consensi dalla gente comune, proprio perché ci siamo espressi”.