Genetica. E’ stato creato un anno fa negli Usa, ma solo adesso scatena un dibattito furioso. "Sarà una nuova strada contro molte malattie". "No. E’ la tecnica per generare bimbi-mostro".
E’ venuto alla luce dopo mesi di silente incubazione negli ambienti scientifici americani il primo embrione umano geneticamente modificato. Il test degli esperti della Cornell University (che dovrebbe aprire la strada a nuove forme di lotta contro molte malattie, dalla fibrosi al cancro) era stato presentato nello scorso autunno al simposio dell’«American Society for Reproductive Medicine», senza ricevere però la dovuta attenzione. Sino allo scorso weekend, quando il «Sunday Times» ha dedicato ampio spazio al lavoro «made in Usa», menzionato dalle autorità britanniche nell’ambito del dibattito su un provvedimento di legge in discussione al Parlamento di Londra. Il test ha avviato un acceso confronto sull’opportunità di proseguire la ricerca, considerata da alcuni il primo passo verso i «Design baby », i «bambini su misura». A confermare i risultati del test, sia pure tentando di limitarne la portata, è stato lo stesso autore, Zev Rosenwaks, direttore del Centro per la medicina riproduttiva e l’infertilità del New York Presbiterian/Weill Cornell, una delle strutture Usa all’avanguardia nel settore.
«La sperimentazione è stata fatta con un particolare tipo di embrione, che non potrà essere utilizzato per la fecondazione assistita, ovvero non potrà mai diventare un bambino», spiega Rosenwaks. Inoltre, gli esperti della Cornell University, dopo un’indagine preliminare, avevano approvato lo studio, che era stato finanziato privatamente. Perciò – sempre secondo l’autore – non avrebbe violato la legge Usa e i vincoli sugli embrioni. Rassicurazioni insufficienti per alcune associazioni di vigilanza sulla ricerca, secondo cui il rischio è nell’utilizzo deviato della ricerca. Alcuni potrebbero impossessarsene per creare bambini più intelligenti, più atletici o più belli. Inoltre, si tratta di sperimentazioni che dovrebbero essere maggiormente pubblicizzate per consentire un dibattito trasparente. «Ci sono vincoli alla ricerca che devono essere tassativamente osservati dagli addetti ai lavori – avverte Marcy Darnovsky, codirettore del Centro di genetica e società, un’organizzazione senza scopo di lucro di Oakland, in California -. Il timore è che gli scienziati decidano di superare questo limite all’improvviso e senza informare nessuno».
Ma per l’Istituto Nazionale di Sanità la ricerca della Cornell non può essere classificata come «terapia del gene umano» e quindi non è sottoposta all’obbligo di revisione delle autorità federali: «Un embrione in provetta – spiega il portavoce – non è regolato dalle stesse leggi di una persona». La squadra di Rosenwaks ha inserito il gene di una proteina fluorescente in un embrione umano unicellulare, verificando, come poi accaduto, se sarebbe stato ereditato dalle cellule create dopo. L’embrione, tuttavia, aveva tre serie di cromosomi e non i due regolarmente presenti in quelle umane e per questo non sarebbe mai potuto essere usato a scopo riproduttivo. Tre giorni dopo, i ricercatori hanno osservato che «tutte le cellule dell’embrione emanavano luce fluorescente ». Il test è riuscito, anche se l’inserimento di geni in una persona è una terapia già conosciuta e impiegata per curare alcune malattie. Al di là dell’uso terapeutico e a scopo di ricerca, tuttavia, il ricorso a queste tecniche per scopi differenti, come la creazione di embrioni geneticamente modificati, è un’ipotesi che inquieta molti, sollevando dibattiti accesi.
Gli stessi che in questi giorni hanno visto etica e scienza confrontarsi in Gran Bretagna sullo «Human Fertilisation and Embryology Bill», un disegno di legge che autorizza la creazione di cellule Ogm, pur vietandone l’impianto negli uteri. Secondo gli scettici, si tratta comunque di una legge rischiosa, perché potrebbe essere «ammorbidita» in un secondo momento, rappresentando l’apripista per i «bambini su misura».