Il neo-Nobel con Capecchi e Evans: la Chiesa equivoca la realtà
Oliver Smities «No, non distruggiamo affatto la vita. Noi la perpetuiamo. L’uso delle staminali embrionali è fondamentale e salverà molte vite. Sono convinto che non passerà tanto tempo e le persone cambieranno idea: l’essere umano è fondamentalmente buono e ama sempre imparare». Oliver Smithies è nel suo laboratorio alla University of North Carolina at Chapel Hill: parla con la chiarezza coinvolgente dello scienziato del XXI secolo e con la settecentesca fede jeffersoniana negli uomini. Le altre fedi, quelle di oggi, che considerano immorali i test sulle cellule staminali embrionali, rappresentano per lui una controparte dolorosa. «Stanno equivocando la realtà», spiega il neopremiato, che l’altro ieri ha vinto il Nobel della Medicina con l’italoamericano Mario Capecchi della University of Utah e l’inglese Sir Martin Evans della Cardiff University, componendo una triade subito ribattezzata «Gli ingegneri del Dna». Professore, lei ha condotto una serie di studi in parallelo con Capecchi sulle staminali embrionali dei topi e sostiene che il futuro è la sperimentazione su quelle umane: che cosa pensa dei dilemmi etici che le circondano e che, in molte nazioni, compresa l’Italia, hanno portato allo stop delle ricerche? «Penso che le prospettive dei nostri studi siano enormi e che in futuro saranno ancora maggiori.
Non so se ci vorrà un anno oppure 10 o 20 anni, ma so che con le staminali embrionali si apre l’era della terapia genica per combattere molte gravi malattie, dall’arteriosclerosi al diabete, fino al cancro. E’ una strada difficile, ma l’abbiamo tracciata e così potremo aiutare un grande numero di individui. Ecco perché ed è fondamentale che si capisca – noi contribuiamo a perpetuare la vita anziché distruggerla. Nessuno si scandalizza per i trapianti, con gli organi espiantati da chi è morto in un incidente, e lo stesso avviene con le staminali.
E infatti si deve pensare alle migliaia e migliaia di embrioni custoditi nelle banche del seme di tutto il mondo e destinati a essere gettati via. Perché mai ci si rifiuta di usarli? Sarebbe davvero una vergogna sprecarli». Anche negli Stati Uniti, però, i critici non mancano: quanto è difficile fare ricerca in queste condizioni? «Non è difficile e sono certo che l’opinione pubblica cambierà presto idea». Come farete voi scienziati a convincere tante persone e in tante parti del mondo? «Mi lasci spiegare i miei studi: è il modo migliore. Ho cominciato una ventina di anni fa, dopo la scoperta di Evans, che fu il primo nell`81 a isolare le staminali dagli embrioni di topo.
Ho capito – e Capecchi in parallelo con me – che si poteva cambiare il materiale genetico delle cellule e, quindi, studiare molte patologie. I nostri topolini e gli esseri umani sono incredibilmente simili: condividono moltissimi geni e le informazioni che otteniamo alterando il loro Dna è facilmente trasferibile su di noi. Per esempio: blocchiamo un determinato gene e riusciamo a contrastare la pressione alta. Oppure alziamo la pressione troppo bassa. Con il cancro non è diverso». Può spiegare meglio? «Abbiamo osservato che, agendo sul gene P53, le nostre cavie sviluppavano una serie di tumori, proprio come succede nell’uomo». i lei, Capecchi ed Evans avete alterato geneticamente le staminali, le avete iniettate in embrioni di topo e avete creato discendenze «mutate» che conservano determinate caratteristiche, generazione dopo generazione. E’ una pratica ormai standard nei laboratori per studiare molte malattie, cancro compreso.
Ma le grandi promesse di qualche anno fa sembrano oggi un po’ attenuate: è così? «Le rispondo che la strada è difficile e che non so quanto tempo ci vorrà. Ma con questa tecnica della "gene therapy" – la terapia genica – il mio team ha studiato i meccanismi della pressione alta e della leucemia e le prospettive – come dicevo – sono immense: con le staminali embrionali, per esempio, si riproducono le cellule dei pancreas e, sostituendole a quelle malate, potremo sconfiggere il diabete. E lo stesso faremo per molte altre patologie. E’ il futuro che si apre davanti a noi e lo realizzeremo con le staminali embrionali umane.
E le assicuro che non vedo alcun problema morale». E le cellule staminali adulte? Quelle sembrano immuni da divieti e da condanne, anche se per gli scienziati restano controverse e non tutti le giudicano altrettanto efficaci di quelle embrionali. Qual è la sua opinione? «Al momento si studiano tecniche meno controverse per ottenere le staminali, ma adesso dobbiamo usare quelle embrionali che abbiamo e che altrimenti andrebbero sprecate. Sono contento di poterne parlare ed è anche il motivo per cui sto facendo questa intervista. E’ importante non perdere altro tempo».