Giuliano Amato: Le coppie di fatto e i valori della Chiesa

di GIULIANO AMATO
Caro direttore, ero a Lione, al Dialogo fra le religioni organizzato da S. Egidio, quando è scoppiata in Italia la polemica sulla proposta avanzata da Romano Prodi di regolare, con quelli che si chiamano su modello francese i Patti civili di solidarietà (Pacs), i diritti delle coppie di fatto. Discutevamo, in un grande e partecipato fervore, i principi che devono e posso no unire i credenti delle diverse religioni e gli stessi non credenti.

Ed emergeva il ruolo di punta che in un dialogo costruito attorno ad essi sono in grado di esercitare i cristiani, portatori di verità affermate non con l’imposizione, ma con la testimonianza ed espressive di un messaggio d’amore e del riconoscimento dei diritti inviolabili della persona in ogni essere umano. In questo clima, le reazioni suscitate dalla proposta di Prodi hanno destato in me,e non solo in me, una grande amarezza, tanto lontane esse sono sembrate dal senso di quelle verità e dal valore di quel messaggio. Intendiamoci: io capisco la tensione della Chiesa davanti a tante vicende della nostra vita che sembrano avviarsi verso l’accettazione di tutto ciò che accade, verso la trasformazione in diritto di tutto ciò che è fattibile, verso la cancellazione, insomma, di quel senso del limite, che dovrebbe essere biblicamente connaturato in tutti noi. La capisco e sotto molti riguardi la condivido. A proposito del tema sollevato da Prodi, ritengo anch’io profondamente sbagliata l’equiparazione delle coppie di fatto alla famiglia fondata sul matrimonio, così come ritengo che l’Italia non debba seguire la Spagna ed altri Paesi nell’ ammettere al matrimonio le coppie omosessuali.
Ma Prodi,che la pensa come me,non ha proposto questo,ha proposto che si guardi alla realtà delle coppie di fatto e ci si chieda se la dignità e i diritti della persona sono sufficientemente tutelati in convivenze che lo Stato consente (e a nessuno verrebbe in mente di proibirle), ma di cui le leggi esistenti negano le implicazioni più naturali. E’ giusto che una donna, che ha vissuto per anni con un uomo che non ha potuto o voluto sposarla, alla morte di finisca sul marciapiedi, perché non ha nessun diritto ereditario sulla casa o perché è cessato con quella morte il contratto d’affitto?ed è giusto che un omosessuale, che non ha né parenti né amici, passi da solo in un ospedale gli ultimi mesi od anni della sua vita, perché il suo unico convivente non è parente e non è ammesso a fornirgli il conforto della sua assistenza e della sua compagnia? Se di questo si tratta e quindi di riconoscimenti che sono quanto di più vicino al messaggio di fondo della cristianità, come potrà essere letto un eventuale rifiuto della Chiesa? Come lo leggeranno quella donna e quel omosessuale e quale sbandamento potrà provocare nei tanti che hanno ragione di vedere nella Chiesa la prima portatrice di quel messaggio? Evitiamo allora di aprire polemiche aspre e cerchiamo di andare, tutti, al di la delle prime reazioni. Se quelle che abbiamo letto sono dovute alla comprensibile tensione di cui prima parlavo e quindi alla preoccupazione che la proposta di Prodi voglia fare da apripista al matrimonio fra omosessuali e alla cancellazione della specificità della famiglia, ha fatto bene Prodi a chiarire subito che non ha
nessunissima intenzione di incamminarsi in questa strada e faremmo bene a fare altrettanto noi che gli siamo vicini. E se è il nome Pacs,patto, che desta preoccupazione, perché evoca l’dea di una disciplina compiuta di tipo para- matrimoniale, anziché quella di un puntuale riconoscimento, di diritti specifici,usiamo un nome diverso. Ma chiarito tutto questo, entriamo insieme nel merito, guardiamo dentro le tante situazioni umane che stiamo abbandonando a se stesse e a sofferenze e ingiustizie che potrebbero essere evitate; e vediamo insieme, caso per caso, situazione per situazione e non in termini generalissimi e astratti, quali possono essere i rimedi più acconci. Con la consapevolezza, fra l’altro, che potrà essere più facilmente il non farlo, il continua re a non vedere, il far crescere l’insofferenza per la sofferenza ingiusta, ad aprire la strada a soluzioni più estreme. So bene che sbaglierei, se non avessi l’umiltà che devo avere davanti a chi esercita,e ne ha la responsabilità,il magistero della Chiesa. E quindi mi guardo bene dal dire io come esso deve essere esercitato. Ma non posso non ribadire la mia convinzione che la società in cui oggi viviamo e nella quale sempre più vivremo in futuro ha tin gran bisogno dei valori religiosi come componenti essenziali di un tessuto connettivo che rischia altrimenti di sfrangiarsi e di lasciarci in preda a conflitti insanabili. Fra di essi i valori cristiani hanno una forza coesiva ed una capacità di aprirsi alle diversità che pochi altri posseggono. . Ma questa forza e questa capacità risiedono nel messaggio d’amore e quindi nella fiducia verso l’uomo che e in essi; non nei dogmi spietati che la disperazione della storia ne ha troppo spesso ricavato. E ciò che ho imparato da persone ricchissime di umanità, e di speranza, come il cardinale Tonini. Ed e ciò in cui oso contare anche di fronte al capitolo, difficile ma inevitabile, che Romano Prodi ci spinge ad aprire.