Sempre più donne vorrebbero il primo figlio dopo i 40 anni e sempre più donne, a quell’età, non hanno più ovociti. Un tema che la medicina sta affrontando. E che farà discutere
Motivi economici, ingresso nel mondo del lavoro ritardato, ma anche servizi sociali inadeguati per sostenere le famiglie fanno sì che molte donne si sentano pronte per la prima maternità solo intorno ai quarant’anni. Peccato che si tratti anche dell’età in cui, fisiologicamente, la fertilità comincia a calare.
Anzi, per il dieci per cento delle donne italiane (e la cifra sale al venti per cento se si considerano anche le pazienti che hanno subito trattamenti chemioterapici a seguito di tumori, cioè 40 mila casi l`anno solo per quanto riguarda il seno) i 45 anni segnano addirittura l’ingresso nella menopausa. Stress, stili di vita (fumo e cattiva alimentazione), patologie virali, e perfino l’inquinamento sono stati chiamati in causa per spiegare le alterazioni ormonali e dunque il diffondersi della menopausa precoce (con casi che riguardano anche le trentenni). Finora però non si hanno dati certi. Di sicuro, invece, c’è una nuova percezione sociale del fenomeno, come sottolinea anche Carlo Bulletti, direttore della Unità operativa di fisiopatologia della riproduzione dell’Ospedale Cervesi di Cattolica: «È vero che registriamo un aumento delle donne in menopausa precoce negli ultimi anni, ma è solo perché oggi si pone più attenzione alla cosa. Rispetto a venti anni fa, secondo me, nella donna non è cambiato molto, se non l’età procreatìva. Quando si faceva il primo figlio intorno ai vent’anni, l’arrivo della menopausa veniva visto come un ciclo naturale della vita, anche se avveniva prima dei quarant’anni. Oggi, invece, il primo figlio si fa ben oltre i 25-32 anni, e allora ecco che la menopausa può essere accolta come una malattia». Contro la quale si può cercare di giocare d’anticipo, ma fino a un certo punto: esistono esami e analisi ecografiche in grado di valutare la riserva ovarica di una donna.
Ma stimare con precisione quando l’ovaio smetterà di funzionare è impossibile. «Ad oggi non esistono test realmente affidabili a lungo termine» dice Bulletti. Di fatto, che si tratti di un cambiamento epocale nella biologia femminile o semplicemente di una nuova percezione dovuta ai mutamenti sociali, concludere l’età fertile a quarant’ anni, o ancora prima, è un problema. Per le giovani donne, infatti, questo significa anche andare incontro a una serie di disturbi, dovuti al calo della produzione ormonale, che peggiorano la qualità della vita: insonnia, sbalzi d’umore, vampate, ma anche il pericolo di una rapida perdita di calcio nelle ossa (osteoporosi) con conseguenti rischi di fratture, disturbi alle vie urinarie e invecchiamento cutaneo. Per affrontare tutto questo si può ricorrere alla terapia ormonale sostitutiva, che oggi è dosata con più cura di un tempo e dunque, presumibilmente, ha minori effetti collaterali. L’ideale sarebbe però poter davvero fermare l’orologio biologico e ottenere una sorta di «bonus», conservando ormoni e fertilità più a lungo. In questa direzione si sta muovendo la medicina della riproduzione. E non già per sovvertire le leggi della natura e aprire la porta a un esercito di mamme-nonne, quanto perché il progresso delle tecniche chemioterapiche e radioterapiche, nelle pazienti affette da cancro in giovane età e in epoca riproduttiva, ha permesso a molte di loro di guarire e di poter ricercare la maternità. Quelle stesse cure che le hanno salvate, spesso però hanno danneggiato il loro sistema riproduttivo.
«Abbiamo fatto passi da gigante nella tecnica di congelamento del tessuto ovarico (prelevato precedentemente) e poi dei suo re-impianto nelle pazienti con menopausa post chemioterapica» racconta il professor Mauro Schimberni, docente alla II Facoltà di medicina e chirurgia di Roma e alla guida dell`équipe di medici della BioRoma, struttura che si occupa di riproduzione assistita. «Con questa tecnica sono stati recuperati degli ovociti, utilizzati poi per essere fecondati con l’Icsi (tecnica che prevede la microiniezione dello spermatozoo direttamente nell`ovocita maturo) e sono state già ottenute alcune gravidanze». Recentemente anche il professor Jacques Donnez, a capo dell’équipe del Dipartimento di ginecologia dell’Università Cattolica di Lovanio, in Belgio, ha ottenuto la prima gravidanza in una giovane donna sottoposta a críoconservazione di tessuto ovarico, prelevato prima della chemioterapia, e ritrapiantato cinque anni più tardi. In questo caso il concepimento è avvenuto naturalmente e ha dato vita a una bambina perfettamente sana. «Studi recentissimi stanno valutando anche una nuova tecnica detta neo-oogenesi, o più semplicemente ovociti per sempre (eggs foreter)» dice Schimberni «attraverso la quale è possibile ottenere ovociti nuovi tramite l`attivazione di cellule germinali staminali presenti normalmente nell`ovaio. Nell’esperimento le staminali, isolate dalle ovaie di topi femmina adulti, sono state impiantate in quelle di femmine giovani, ma precedentemente sterilizzate.
I ricercatori si sono accorti che queste ultime sono tornate fertili». Di fatto, se funzionasse sugli umani, la tecnica potrebbe allungare notevolmente la vita riproduttiva delle donne. «Si potrebbe riuscire a ripristinare una situazione di fertilità non solo nelle pazienti oncologiche, ma anche nelle pazienti in menopausa naturale che desiderano ancora procreare» dice Schimberni. «Anche se la menopausa, va detto, è un fenomeno complesso. La situazione ormonale generale, per esempio, è determinata dall’ovaio intero e temo che ripristinare completamente la funzione di quest’ultimo sia complicato». Complicato, ma non impossibile. «È molto difficile fare previsioni, ma quello che possiamo dire senza timore di smentite è che lo sviluppo della ricerca sulle cellule staminali è molto veloce. Basti pensare che gli studi sono iniziati appena cinque anni fa, e già ci sono molti risultati. Credo che in altrettanto tempo si possa arrivare all’applicazione clinica anche nella riproduzione». «Questo produrrà però posizioni etiche di sicuro contrastanti» sottolinea Bulletti. Situazione non nuova per le tecniche di riproduzione assistita che, nell’arco di trenta anni, hanno fatto comunque nascere cinquecentomila bambini.