Eutanasia, «Impotente davanti al dolore di mio marito»

max fanelli con la moglie
Intervista di Vanity Fair a Monica Olioso, compagna del nostro iscritto Max Fanelli, malato di Sla che ha lottato per una buona legge su eutanasia e testamento biologico.

Per parlare usava l’occhio destro. Tramite il controllo oculare riusciva a scrivere sul suo pc, così comunicava al mondo intero Max Fanelli, morto a luglio scorso. La Sla (Sclerosi Laterale Amiotrofica) l’aveva colpito a 53 anni, quando si era appena sposato con Monica.

«Quando è arrivata quella terribile diagnosi eravamo marito e moglie da un anno – racconta Monica Olioso -. Sembrava solo debolezza, gli cadevano spesso le cose dalle mani, sentiva le gambe affaticate. Max però aveva già dei sospetti perché quei sintomi li conosceva bene».

Parecchi anni prima, mentre Max dedicava la sua vita al volontariato e all’impegno sociale, quella stessa malattia aveva condannato a morte sua madre. «Siamo andati subito alla ricerca di terapie sperimentali – continua Monica – la speranza è sempre l’ultima a morire. Poi c’è stato il momento del vuoto più pesante, quello in cui abbiamo accettato la malattia».

La Sla è una malattia degenerativa progressiva con un decorso del tutto imprevedibile. Si smette di parlare, deglutire, camminare, muovere qualsiasi arto. Così è stato anche per Max Fanelli, che quando ha conosciuto la sua condanna, ha deciso di battersi per ottenere l’eutanasia. A dieci anni dalla morte di Piergiorgio Welby (primo in Italia ad ottenere legalmente l’interruzione del respiratore che lo teneva in vita), sono migliaia i malati che vedono quotidianamente calpestato il proprio diritto all’autodeterminazione.

«Quando si è reso conto del vuoto legislativo italiano rispetto all’eutanasia – continua Monica – Max ha deciso di farne la sua battaglia. Ha pubblicato una sua foto, sui social, a petto nudo, dove mostrava l’impianto della respirazione forzata e il sondino dell’alimentazione artificiale». Sotto l’immagine Max aveva scritto: «Se vuoi decidere per me prenditi anche la mia malattia».

Così è nato il movimento #iostoconmax, con cui Fanelli è riuscito a registrare il suo testamento biologico. Senigallia, la sua città, è uno dei primi Comuni d’Italia ad avere istituito il registro per le Dat, la Dichiarazione anticipata di trattamento.

«Con l’avanzare della malattia le nostre giornate erano diventate abbastanza abitudinarie – racconta Monica-. C’erano varie operazioni che dovevo fare sia da sola che con l’aiuto dell’infermiera. Nell’ultimo periodo Max era sempre più affaticato, nonostante fosse ancora pieno di idee. Mi diceva “spero di addormentarmi e non svegliarmi più”».

Prima che la Sla gli portasse vi anche l’occhio destro, impedendogli definitivamente di comunicare, Max Fanelli aveva pubblicato un video sul web, rivolgendosi ai parlamentari per sollecitare la discussione della legge sul fine vita. «Sopravvivo grazie al respiratore automatico e mi alimento via Peg, un buco nello stomaco. Sono completamente paralizzato e mi è rimasto solo un occhio con il quale riesco a comunicare grazie ad un pc oculare».

«Le ultime settimane sono state le più difficili, Max era sfigurato in volto – continua Monica -. Mi sentivo impotente davanti alla persona che amavo, la vedevo soffrire sapendo che non c’era nessuna possibilità di guarigione e lui non ce la faceva più ad andare avanti in quelle condizioni».

Otto mesi dopo aver smesso di prendere i suoi farmaci salvavita, Max Fanelli si è addormentato senza risvegliarsi, come aveva sperato e chiesto di poter fare a lungo. Oggi sua moglie Monica, insieme al comitato #iostoconmax e all’associazione Luca Coscioni, porta avanti la sua battaglia per garantire il diritto all’eutanasia.

«Ci auguriamo che l’esame della legge possa procedere speditamente – spiega Marco Cappato, tesoriere dell’associazione Luca Coscioni di cui Piergiorgio Welby è stato cofondatore –tenendo in considerazione sia l’interesse di tanti malati che l’opinione pubblica: la stragrande maggioranza (il 77 per cento), risulta favorevole al diritto di decidere anche per quando non si è più in grado di intendere e di volere».