CELLULE DI SPERANZA (Panorama)

<i>Le staminali potrebbero riparare ogni tipo di organo. Sulle loro proprietà straordinarie sono in molti a scommettere. E ora una ricerca apre lo spiraglio per una cura della sclerosi multipla</i>

<b>9 Maggio 2003</b> – Sulle potenziali prospettive di cura aperte dalle famose cellule staminali, straordinaria risorsa della biomedicina del futuro, sono in molti a scommettere. Negli ultimi anni gli studi su queste versatili trasformiste, progenitrici di tutti i tipi di cellule e tessuti del corpo, si sono moltiplicati.
C'è chi ritiene che i frutti attesi, quali che siano le staminali usate (embrionali o somatiche, di origine fetale o adulta, ottenute con la clonazione o senza), siano per ora acerbi e che per raccoglierli ci voglia ancora tempo. Sappiamo troppo poco sia delle une (embrionali) sia delle altre (adulte) ricavabili da tessuti in cui il ricambio è vitale, come il midollo osseo e l'epidermide. Le prime sono le uniche sicuramente «totipotenti» perché possono dar luogo allo sviluppo di tutte le cellule che compongono un individuo; le seconde, «pluri o multipotenti», sono già indirizzate verso un destino specifico che oggi si può cambiare, facendole diventare altro. Ossia altri tipi di cellule e tessuti.
«Ogni aspetto della ricerca che le riguarda è interessante. Prematuro dire quali staminali siano meglio delle altre. Le scelte sono semmai etiche» dice Maurizio Zuccotti dell'università di Parma, e biologo del team che a Honolulu ha dato vita a Cumulina, la prima topina clonata. Ciascuno scommette sulle proprie staminali e in questa gara aspettative, promesse, entusiasmi, spesso ingigantiti dai media, si mescolano talvolta a delusioni. Per stabilire qual è la fonte migliore di staminali ci vorranno anni. E così per capirne le proprietà.

Una volta trapiantate, quante di esse sopravvivono e si integrano nel tessuto ospite, e quante scompaiono e migrano altrove senza dare il beneficio atteso? Molti i punti da chiarire. Ma il cammino della scienza, si sa, è incerto, si basa su continue verifiche delle ipotesi formulate.
«Non esiste un'unica via per arrivare a un risultato e, in fatto di staminali, le strade da percorrere sono molte. La speranza però deve essere mantenuta viva, senza esagerare nei toni» afferma Angelo Vescovi, condirettore dell'Istituto di ricerca sulle cellule staminali al San Raffaele di Milano. Il rischio è di ritrovarsi con le staminali come è accaduto con la terapia genica. Doveva curare tutte le malattie e invece gli ostacoli si sono dimostrati più ardui del previsto. Pioniere della ricerca sulle staminali neuronali adulte, tanto versatili da diventare cellule non solo del muscolo scheletrico ma anche del sangue, Vescovi è ora coautore di un lavoro su Nature eseguito con Gianvito Martino, direttore dell'Unità di neuroimmunologia al San Raffaele.

Lo studio, un'altra pietra miliare in questo campo di ricerca, dimostra come iniettando staminali neurali adulte nel cervello di topi con una forma di sclerosi multipla sia stato possibile curare la malattia. Staminali isolate dal cervello di topi geneticamente identici a quelli malati, iniettate per via endovenosa o intracranica, hanno raggiunto e riparato le aree del cervello e del midollo spinale colpite dal processo infiammatorio, tipico della fase iniziale della malattia, che porta alla distruzione della mielina e delle cellule nervose che essa ricopre. «Queste cellule hanno raggiunto selettivamente le aree danneggiate perché sulla loro superficie hanno sensori (molecole di adesione) che le indirizzano solo verso le zone danneggiate, anche quando sono molte e diffuse nel cervello: caratteristica specifica delle staminali neuronali che hanno il compito di individuare con i sensori il danno e ripararlo» dice Martino. «Grazie a questa scoperta potremo trattare anche malattie multifocali, le più difficili da combattere». Le staminali hanno formato nuovi neuroni, ma anche altri tipi di cellule, come gli oligodendrociti che formano la mielina, la guaina che avvolge i nervi.

Ciò ha permesso di ripristinare la normale conduzione degli impulsi elettrici interrotta dalla riparazione con cicatrici (le placche) delle zone dove la mielina era danneggiata. Prima di essere iniettate, le staminali cerebrali sono state moltiplicate, in modo «naturale», con fattori di crescita. «Normalmente le si trova nel cervello adulto dove svolgono la funzione di mantenimento e riparazione del tessuto cerebrale» spiega Vescovi. «Non sappiamo perché nei malati con sclerosi multipla non riescano a riparare le lesioni. Forse si trovano lontane dal sito lesionato o, quando il processo infiammatorio che colpisce la mielina diventa cronico, la loro riserva si esaurisce».

Dal topo all'uomo? «È un passo avanti, ma la cautela è d'obbligo» risponde Vescovi. «La sorpresa, se così vogliamo chiamarla, sta nel fatto che sinora sembrava più verosimile la possibilità di intervenire su malattie cerebrali che colpiscono aree circoscritte e con lesioni localizzate, come il morbo di Parkinson, la corea di Huntington, le ischemie. E non su Alzheimer o sclerosi multipla, malattie multifocali con degenerazioni diffuse. L'idea che potesse funzionare e che le staminali si integrassero nei tessuti danneggiati, dando luogo a vari tipi di cellule cerebrali, pareva fantascientifica». Prossima tappa, la sperimentazione su scimmie con modelli più vicini alla malattia umana. «Lo faremo in Olanda al Biomedical primate research center» dicono Martino e Vescovi. «Verificheremo con la risonanza magnetica l'andamento delle lesioni al cervello dopo il trapianto di staminali neuronali umane da aborti spontanei. Speriamo in risultati analoghi, per poi passare, forse tra cinque anni, all'uomo».

Contro la sclerosi multipla, che colpisce in Europa 400 mila persone, non esistono terapie che riparino i danni alla mielina o la inducano a riformarsi.
Le cure attuali cercano di distruggere le cellule del sistema immunitario che aggrediscono cervello e midollo spinale. «Lo scenario futuribile aperto da queste ricerche è la possibilità di usare strumenti naturali, come le cellule in questione, invece di sostanze di sintesi chimica, di solito tossiche» aggiunge Martino. Le aspettative nelle staminali, per ora lontane dal trasformarsi in cure, si sono accese solo da poco. Sono passati poco più di quattro anni da quando Vescovi isolò quelle cerebrali umane e cinque da quando James Thomson, dell'università del Wisconsin, riuscì a coltivare e moltiplicare in vitro staminali totipotenti isolate da embrioni umani. E a dare comandi molecolari perché si differenziassero in diversi tipi di tessuto, da quello cardiaco a quello neuronale. «Era la prima prova della plasticità di queste cellule indifferenziate, totipotenti, che si ricavano da un embrione in uno dei primi stadi del suo sviluppo, quando è formato da un mucchietto cavo di cellule, la blastocisti.

Poi è stata un'escalation» ricorda Giulio Cossu, direttore dell'Istituto di biologia cellulare e ingegneria tissutale (Ibcit) del San Raffaele a Roma. Questo portò in campo la clonazione terapeutica tanto discussa. La stessa impiegata per clonare la pecora Dolly: si trasferisce il nucleo di una cellula adulta, per esempio della mammella, in un ovocita e lo si induce a dividersi, ottenendo così una fonte di staminali personalizzate per riparare i tessuti senza problemi di rigetto. Ma oltre alle remore di ordine etico ve ne sono di tipo tecnico. «Gli embrioni utilizzati devono essere di buona qualità» dice Vescovi. E non sempre lo sono quelli residui in sovrannumero congelati in cliniche di fecondazione assistita. «Sono destinati a essere buttati. Tra il 1991 e il 1998, solo in Gran Bretagna gli embrioni crioconservati gettati nel lavandino sono stati 237.962. Il dibattito etico dovrebbe porsi il quesito: è più giusto farli partecipare alla vita in forma disgregata, unicellulare, come staminali per la ricerca o per la terapia oppure eliminarli?» si chiede Carlo Alberto Redi, direttore del Laboratorio di biologia dello sviluppo dell'università di Pavia.

Redi propone una strada alternativa alla clonazione per ottenere cellule indifferenziate capaci di riprodursi all'infinito. «Sviluppare un citoplasto artificiale con il quale si potrebbe evitare di ricorrere a ovociti per riprogrammare i nuclei di cellule somatiche, come si è fatto con Dolly.
E ottenere staminali senza produrre un embrione, ricreando un ambiente artificiale (un citoplasto) in cui il nucleo di una cellula somatica adulta possa essere riprogrammato e cominci a moltiplicarsi» dice Redi. «Si tratta di capire qual è il motore biologico. Ossia i fattori molecolari del citoplasma dell'ovocita che fanno partire la riprogrammazione del nucleo somatico una volta trasferito in esso. In prospettiva, non sarà più necessario estrarre il nucleo e trasportarlo nel citoplasma dell'ovocita, ma si potrà fare l'operazione inversa: iniettare il citoplasto