Giovanni Sartori è un grande studioso di Scienza della Politica ed è anche,di certo, un uomo molto saggio. Proprio per questo, desta una certa sorpresa vederlo parlare di embrioni e di diritto alla vita a nome della ragione e come interprete
della scienza.
Dal tempo di Popper (o anche di Wittgenstein o di Husserl) tutti abbiamo imparato che la scienza risponde alle domande sue, che non sono quelle nostre, che interessano a noi che abitiamo. Il mondo della vita. Quando si pretende di far parlare la scienza di questioni non scientifiche, allora la meravigliosa unanimità degli scienziati fra di loro che tanto ci seduce subito si spezza e uno scienziato dice una cosa e un altro dice la cosa opposta. Quando parlano di queste cose, gli scienziati lo fanno mettendo in gioco il loro personale buon senso,che va certamente rispettato, ma non vale molto più di quello degli altri uomini.Semmai, dal disaccordo degli
scienziati fra loro si potrebbe dedurre un invito alla prudenza. Per condannare a morte un embrione è necessario essere proprio sicuri che non sia vita umana.
Per risparmiarlo e sufficiente anche un ragionevole dubbio, e proprio la divisione delle opinioni fra gli scienziati è sufficiente a dimostrare che vi è spazio per più di un ragionevole dubbio.
Ma veniamo al nocciolo dell’argomentazione del professor Sartori. Egli ci dice che merita rispetto non la vita in generale,ma la vita umana.
Ma cosa è la vita umana ed in che cosa si differenzia dalla vita, per esempio, di un cane?
La risposta più ovvia, quella che viene in mente a quelli che come noi che non sono molto (troppo?) istruiti o molto sapienti,è che la vita umana è la vita di un individuo della specie homo sapiens mentre la vita di un cane è quella di un individuo appartenente alla specie canis famillaris.
Il professor Sartori invece di darci la banale risposta che troviamo in ogni manuale di biologia per le scuole secondarie, ci dice che la vita umana è caratterizzata dalla autoconsapevolezza.Cosa sia questa autoconsapevolezza, Sartori non ce lo spiega in dettaglio ma chi ha una infarinatura di filosofia non faticherà a riconoscere la autocoscienza hegeliana. Il problema è che (come bene insegna lo stesso Hegel) non tutti gli uomini sono autocoscienti. E non solo non è autocoscientel’embrione, ma non è autocosciente neppure il feto. E neppure il bambino, almeno fino ad una certa età. Non sono autocoscienti molti disabili e non siamo autocoscienti tutti noi almeno quando dormiamo. C’è di più. Quell’io, di cui dobbiamo essere coscienti per avere diritto alla vita, come lo definiamo?
A secondo del modo in cui definiamo l’io cambia anche l’idea di autocoscienza che abbiamo e cambia anche l’ambito di coloro che riteniamo che abbiano diritto alla vita.
E’ capitato di escludere da tale diritto interpopoli (i cosiddetti Naturvoeller, troppo primitivi per essere autocoscienti).
In un opuscoletto sulla questione ebraica,Karl Marx nega i diritti umani agli ebrei perché essi non riuscirebbero ad andare al di là del limite della autocoscienza egoistica per elevarsi al livello del Gattungswesen, della coscienza comunistica della umani…..
Le categorie filosofiche hanno un potenziale esplosivo che può essere assai pericoloso e vanno maneggiate con molta attenzione. E quando parliamo di un problema così inquietante e gravido di implicazioni,cerchiamo di esporre ciascuno laicamente le propri ragioni e di non arrogarci la rappresentanza esclusiva della ragione.
Buttiglione: l’embrione è vita, i dubbi della scienza spingano alla prudenza
Rocco Buttiglione
«A Sartori dico che va maneggiato con attenzione il riferimento all’autocoscienza. Marx lo usò in un opuscoletto per negare diritti umani agli ebrei