Tutti i laboratori di oncologia del mondo puntano su un obiettivo: stroncare il processo della metastasi. Se le cellule tumorali non avessero la capacità di esportare il cancro in altri tessuti, i tumori sarebbero già stati sconfitti su quasi tutto il fronte. Oggi la mortalità per tumori è dovuta infatti, in gran parte, alle metastasi. Come e perché hanno inizio? Per l’azione di molecole come il recettore Met e i recettori delle “semaforine”, alcune cellule neoplastiche si distaccano dal tumore e iniziano la loro micidiale migrazione. Su questa ipotesi lavora un gruppo internazionale che fa capo all’istituto di ricerca e cura del cancro (IRCC) di Candiolo (Torino) e ha già ottenuto risposte incoraggianti dalla sperimentazione in laboratorio. Su una pista complementare si muove un’équipe dell’Istituto Europeo di Oncologia di Milano e ha messo nel mirino le cellule staminali tumorali: poche ma molto aggressive, sarebbero le sole capaci di staccarsi dal tumore e colonizzare nuovi organi. L’obiettivo è individuare con certezza le proteine che governano il distacco e la metastasi, e poi distruggerle.
In passato si riteneva che le semaforine (cosi chiamate perché controllano il traffico delle cellule) si trovassero solo sulla superficie delle cellule nervose. Poi Luca Tamagnone, 39anni, che fa parte dell’équipe di Paolo Comoglio, direttore scientifico dell’Ircc, scopre che le semaforine sono presenti su tutte le cellule dell’ organismo. Sono bandierine che le cellule espongono come segnali, che sono poi ricevuti da una specie di antenne, chiamate plexine e studiate per la prima volta a Torino. Semaforine e plexine hanno un ruolo fisiologico nelle cellule normali: controllano la loro aggregazione e dissociazione. Nel sistema nervoso, per esempio, garantiscono le connessioni giuste per consentire l’attività cerebrale. «Stiamo accertando se questo meccanismo è alterato nei tumori e provoca la migrazione delle cellule neoplastiche. Dagli esperimenti compiuti su modelli animali abbiamo ottenuto risposte incoraggianti», spiega Comoglio. Ora le ricerche puntano a correggere questi segnali sbagliati che causano le metastasi.
Può darsi che le cellule migranti siano diverse dalle altre, posseggano speciali poteri, e l’équipe dell’istituto Europeo di Oncologia di Milano diretta da Pier Giuseppe Pelicci ha sufficienti indicazioni per pensare che le cellule viaggiatrici siano le staminali tumorali, lì tumore è fatto di cellule madri e cellule figlie, osserva Pelicci: «Sono le staminali a sostenere tutto il tumore. Le stiamo studiando. Se arriviamo a dimostrare che sono responsabili della metastasi, potremo neutralizzare le molecole che le regolano, e bloccare la disseminazione» . Il solo modo per prevenire la metastasi è la diagnosi precoce, ma in molti casi non riesce ad essere precoce quanto occorre. «Quando, con la chemioterapia, cerchiamo di annientare le cellule tumorali, non sempre riusciamo a uccidere l’ultima», dice Pelicci. Diagnosi precoce e chemio o radioterapia hanno alte probabilità di successo contro il tumore al testicolo o un linfoma. Con il tumore del polmone, è più difficile: spesso, quando viene diagnosticato, ha già prodotto metastasi.
Se un tumore non è grande, la chemio può farlo scomparire nel 90% dei casi. «Ma dopo due-quattro anni nella metà dei casi ritorna. Dunque non basta più usare la lente d’ingrandimento per cercare di rendere visibile il tumore sempre più piccolo. Una neoplasia di pochi millimetri contiene milioni di cellule. Occorre l’imaging molecolare, nuova scienza agli albori», dice il direttore scientifico dell’Ieo. Poiché il tumore nasce da geni alterati che producono una proteina anomala, si tratta di approntare sonde che sappiano riconoscere questa proteina. L’imaging molecolare fa già parte dell’armamento dell’ oncologia: la pet, positron emission tomography, usa come sonda il glucosio marcato (ora si studiano traccianti meno invasivi) di cui le cellule tumorali sono ghiotte. Ne mangia molto di più delle cellule normali. Riconosciuta la molo proteina anomala, si può scovare un tumore praticamente invisibile.
All’Ieo, la ricerca segue anche un’altra via: «Cerchiamo di identificare all’ interno del tumore qualcosa che ci faccia capire se quel tumore risponderà alla terapia. Ci muoviamo sul piano della genomica molecolare: permette di analizzare simultaneamente tutto il genoma per capire quali caratteristiche genetiche ha quel tumore e se presenta un’alta probabilità di metastasi. In caso positivo si applicherà un altro trattamento». C’è infine il progetto di trasformare il cancro in malattia “cronica”, quando, al momento, non esista possibilità di guarigione. Dice Pelicci: «Abbiamo farmaci di contenimento, che permettono di fronteggiarlo. In attesa di nuove terapie».