L’Associazione Luca Coscioni diffonde una dichiarazione del dott. Mario Riccio, medico anestesista che seguì il caso Welby, in merito all’editoriale del 18 novembre del prof. Buzzonetti sulla morte di Papa Wojtyla
Il prof. Buzzonetti, primario otoiatra al Gemelli che ha eseguito la tracheotomia a Papa Wojtyla pochi giorni prima che morisse,ha rilasciato una intervista al Messaggero di Roma il 18 u.s. al fine di smentire quelle che molti esponenti ecclesiastici ritengono dicerie e calunnie sugli ultimi giorni di vita del Papa in merito ad una supposta richiesta eutanasia dello stesso Papa. In verità, dalla approfondita lettura dell’articolo,sembra assolutamente confermarsi quanto è sempre stato sostenuto – anche dal sottoscritto – circa l’espresso rifiuto di terapie salvavita da parte di Papa Wojtyla.Ma questa nuova intervista lascia anche ulteriori inquietanti dubbi.
Papa Wojtyla peraltro aveva già deciso da anni di esercitare il suo diritto alla limitazione delle cure, rifiutando da subito i farmaci che avrebbero potuto rallentare ed attenuare la sintomatologia della sua patologia di base, cioè la malattia di Parkinson, che inevitabilmente conduce alla insufficienza respiratoria. Questo almeno stando alle dichiarazioni pubbliche del dott. Melazzini, autorevole esponente del mondo medico confessionale, a cui dobbiamo riconoscere assoluta credibilità ed autorevolezza in materia. Essendo lui stesso, purtroppo, affetto da una grave malattia neurodegenerativa. Venendo invece alle dichiarazioni del Prof Buzzonetti, questi sostiene che il Papa ebbe ad esercitare subito un altro rifiuto terapeutico : la terapia antalgica e segnatamente a mezzo della morfina. Anche questo rientra nei diritti del paziente ,nei quali però dovrebbe essere ricompresso anche il contrario. Cioè la possibilità di utilizzare la terapia antalgica. Siamo certi che il Papa non abbia voluto dare un esempio, ma si sia limitato al semplice esercizio di un suo diritto. La Chiesa Cattolica infatti da tempo sostiene l’uso della terapia antalgica anche a mezzo delle sostanze morfino- simili nei pazienti terminali anche se queste possono accorciare il periodo di fine vita.
Ma quello che appare evidente e ribadito nelle stesse precise parole di Buzzonetti è il netto rifiuto ad ulteriori terapie da parte del Papa. Ad esempio la ventilazione meccanica e la terapia nutrizionale che sono pratiche ormai ordinarie, ed anche domiciliari come il caso Welby insegna,per i pazienti nelle stesse condizioni di Papa Wojtyla. Ed è semplicemente questo che si è sempre ribadito, commentando il percorso terapeutico del Papa. Nessuno ha mai voluto insinuare che al Papa siano state somministrate sostanze atte a causare l’arresto cardiaco o respiratorio, cioè un atto eutanasico. Ma solamente che il Papa ha esercitato fino in fondo il suo diritto al rifiuto di terapie che altri pazienti invece accettano comunemente per un periodo più o meno prolungato, oppure per tutto il decorso della patologia. La questione è che tale rifiuto è considerato proprio dalla recente dottrina della fede cattolica cristiana "eutanasia passiva per omissione".Pertanto la contraddizione evidente si pone all’interno della stessa Chiesa Cattolica. Quando afferma per voce di un suo alto esponente : "Il buon medico non priva mai il suo paziente di aria, ossigeno, cibo ed acqua", riferendosi anche a casi recenti. Infine si rimane perplessi di fronte alla diretta testimonianza di Buzzonetti che riferisce del "momento di stupore di Papa Wojtyla" quando " improvvisamente si trovava a fronteggiare una nuova condizione " al risveglio dalla anestesia dopo la tracheostomia. L’incapacità fonatoria, cioè l’impossibilità a parlare.
Ma qualcuno aveva informato – come la legge prescrive per qualsiasi cittadino – Papa Wojtyla che la tracheostomia comporta , talvolta solo inizialmente, questa conseguenza? O dobbiamo pensare che il paziente sia stato privato del suo diritto alla informazione, che peraltro è fondamentale per poter esercitare poi il conseguente diritto ad accettare o rifiutare le cure? Non risulta che la tracheotomia gli fosse stata praticata in regime d’urgenza,ma soltanto il giorno dopo il nuovo ricovero per una recidiva di insufficienza respiratoria.In caso d’urgenza infatti è comprensibile che l’intervento venga praticato in un momento che il paziente non riesca ad esprimere il suo consenso.