Dall’11 al 14 ottobre, come dal 2000, si tiene la conferenza biennale della Drug Policy Alliance. Nata dalla fusione della Drug Policy Foundation e il Lindesmith Center, la DPA raggruppa esperti e militanti che promuovono una riforma complessiva delle leggi e politiche in materia di droghe negli USA. Negli anni, le conferenze hanno incluso nei momenti di approfondimento anche questioni legate alle guerra alla droga in altri paesi a partire dai vicini meridionali.
La Conferenza di Altlanta è importante perché fa il punto sugli progressi riformatori in molti stati degli USA, dove la DPA ha giocato un ruolo centrale sia nella preparazione delle proposte di riforma che nel finanziare la raccolta delle firme e la campagna per il voto. Altro motivo per cui ci sono molto aspettative è perché la conferenza di Atlanta è la prima presieduta dalla nuova direttrice esecutiva Maria McFarland Sánchez-Moreno che prende il posto di Ethan Nadelmann del fondatore della DPA e del Lindesmith Center.
Sono attese 1500 persone da 50 paesi.
L’arrivo della McFarland, di origine peruviana e con anni di esperienza in Colombia assieme a Human Rights Watch, conferma l’apertura al proibizionismo globale legandolo al rispetto dei diritti umani, consolidando la necessità di includere quanti più gruppi possibile nella alliance: neri, ispanici, consumatori, parenti di detenuti, assistenti sociali, medici, poliziotti, LGBT e, ultimo ma non ultimo, donne.
La cerimonia di apertura ha tutte donne, in particolare Michelle Alexander penalista da sempre in prima fila nella difesa dei diritti degli afro-americani che ha denunciato come la “guerra alla droga” sia tornata ad essere uno strumento di discriminazioni e nella penalizzazione delle minoranze a partire dai neri.
Gli accenti anti-razzisti sono presenti in molti interventi: la cannabis è la droga dei ragazzini bianchi, non è stato difficile legalizzarla. Là dove è stata legalizzata le imprese che son entrate nel mercato, piccolo o grandi che siano, sono tutti di bianchi. Il business che gira intorno alla cannabis è tutto a beneficio di maschi bianchi.
Che la guerra alla droga sia una guerra contro le persone era ormai riconosciuto da tempo e denunciato da quasi tutti, l’arrivo di Trump, una delle amministrazioni più bianche degli ultimi tempi, abbia messo di nuovo in evidenza il rischio di tornare ai “fasti” proibizionisti di Reagan sia sempre dietro l’angolo. La etnicizzazione delle politiche in materia di droghe è rafforzata dal fatto che l’attenzione alla vera e propria epidemia di overdosi da oppiacei parrebbe esser giustificata dal fatto che affligga poveri bianchi e non neri o latino. Gli USA, che hanno il 4% della popolazione mondiale, hanno circa il 25% delle overdosi mortali – una vera emergenza sanitaria.
C’è chi parla del complesso militare proibizionista, penalizzare anche il consumo di stupefacenti ha creato le condizioni per militarizzare progressivamente le polizie di mezza America, chi invece sottolinea che il “controllo” sia la parte più lucrosa del proibizionismo del Terzo Millennio, che forse è meno violento dei quello degli anni Ottanta ma sempre presente e pervasivo.
La conferenza prevede tre giorni di discussioni tematiche con centinaia di oratori. Alla fine non viene adottata una mozione o una dichiarazione finale, ma sicuramente chi ore e ore ascolta opinioni, proposte e denunce di ogni genere, specie e provenienza tutte legate al proibizionismo torna sempre a casa arricchito e fortificato nelle proprie convinzioni.