Il 27 aprile Walter De Benedetto è stato assolto dal tribunale di Arezzo dalll’accusa di aver coltivato in concorso cannabis nel proprio giardino: il giudice ha stabilito che le sue non erano azioni volte a produrre per spaccio.
Walter ha passato quasi metà dei suoi 50 anni coi dolori di un’artrite reumatoide, una patologia che gli ha fatto provare di tutto fino a scoprire che con la cannabis poteva tenere sotto controllo la sua condizione senza troppi problemi concomitanti.
Il piano terapeutico concordato col suo medico prevedeva una quantità di cannabinoidi che l’ASL della sua città non era in grado di garantire; per sopperire a questa mancanza Walter ha chiesto a un amico di aiutarlo a procurarsi i grammi mancanti coltivando delle piante in una piccola serra nel giardino. Marco ha patteggiato, Walter, che si è assunto la responsabilità della violazione delle legge, ha deciso di andare a processo perché ritiene di esser lui la vittima e non il criminale – vittima di uno Stato che non rispetta una legge adottata ormai quasi 15 anni fa, mai cambiata, e che prevede la possibilità di prescrivere cannabinoidi per fini terapeutici.
Il consumo personale di sostanze illecite è stato sostanzialmente depenalizzato dalla Corte Costituzionale quando nel febbraio 2014 ha cancellato buona parte della legge Fini-Giovanardi del 2006. Nell’adeguare la normativa alla sentenza della Consulta il legislatore ha pensato bene di non intervenire sulle pene per la coltivazione, anche domestica, della pianta.
Un paio di anni fa le sezioni unite penali della Corte di Cassazione hanno stabilito che se cresciute senza troppo lavorio poche piante di cannabis non sono un reato da perseguire.
Quelle nel giardino alla periferia di Arezzo non erano poche, e magari erano anche più potenti di come la Cassazione vorrebbe, ma grazie a loro Walter è riuscito a trovare il dosaggio necessario per non dover far ricorso a più potenti e potenzialmente molto più problematici analgesici come gli oppiacei.
Possibile che per la ricerca di un complemento della cura contro il dolore prevista da una legge si debba correre il rischio di violarne un’altra che prevede pene fino a sei anni per una condotta che non comporta vittime? Quanti malati potranno contare su un’assistenza legale capace, competente e militante come quella degli avvocati Milio e Simonetti?
La mobilitazione che da oltre due anni accompagna Walter De Benedetto e che ha visto quasi 500 persone digiunare in solidarietà e oltre 20000 firmare un appello in suo sostegno non voleva influire nel procedimento a suo carico, voleva, e ancora vuole, ricordare al Governo di applicare in tutte le sue parti la legge sulla cannabis terapeutica senza nascondersi dietro a presunti problemi di approvvigionamento, al Parlamento che occorre rivedere l’intera normativa per quanto riguarda almeno l’uso e la coltivazione personale delle cannabis e al Presidente della Repubblica, a cui Walter ha scritto un mese fa, che occorre spendere parole chiare per la tutela il diritto alla salute.
La letteratura medica continua a produrre evidenze circa l’efficacia dell’impiego della cannabis in decine di condizioni e patologie, far finta che queste applicazioni del progresso scientifico non esistano aggrava la posizione di chi, invece, da un anno invoca la scienza come migliore alleata per uscire dall’emergenza sanitaria in corso.
Oggi festeggiamo questo sviluppo positivo, ma la necessità di riformare la legge radicalmente resta tutta. Se le istituzioni e la politica non vogliono ascoltare i malati perché pensano che abbiano doppi fini, ascoltino almeno la scienza che come fine ha il progresso umano, la sua salute il suo benessere.