Fin dall’inizio dell’emergenza sanitaria alcuni stati, primo fra tutti il Costarica, si sono attivati per far in modo che delle cure contro il coronavirus su cui erano prontamente partite le ricerche potessero beneficiare tutti. E quando si dice tutti s’intende tutti tutti.
La proposta del Presidente Carlos Alvarado si concentrava principalmente sui brevetti per la produzione del vaccino e il direttore dell’Organizzazione Mondiale della Sanità Tedros Adhanom Ghebreyesus l’aveva accolta con entusiasmo auspicando che
“il potenziale della scienza senza caveats o restrizioni [potesse esser liberato] per offrire innovazioni che siano di scala, utilizzabili e allo stesso tempo vantaggiose per tutti, ovunque”.
Nel giro di tre mesi, la proposta di raccogliere in un unico “pool” le proprietà intellettuali per il vaccino è stata denominata COVID-19 Technology Access Pool e ha ottenuto il sostegno di Argentina, Bangladesh, Barbados, Belgio, Belize, Bhutan, Brasile, Cile, Repubblica Dominicana, Ecuador, Egitto, El Salvador, Honduras, Indonesia, Libano, Lussemburgo, Malesia, Maldive, Messico, Mongolia, Mozambico, Oman , Pakistan, Palau, Panama, Perù, Portogallo, Saint Vincent e Grenadine, Sudafrica, Sri Lanka, Sudan, Timor Est, Uruguay e Zimbabwe.
Ancora non è chiaro come, e dove, il tutto proseguirà ma si tratta pur sempre di un’alleanza trans-regionale che al momento del bisogno potrà pretendere di rappresentare tutti i continenti.
Alla fine di giugno, il premio Nobel per la pace Desmond Tutu e l’attore George Clooney, insieme a oltre 100 persone, hanno lanciato un appello per i vaccini COVID-19 affinché questi vengano dichiarati un “bene comune globale” e resi ampiamente disponibili in tutto il mondo,
L’appello è stato scritto dal fondatore del movimento di microcredito Muhammad Yunus, anch’egli vincitore del premio Nobel per la pace, ed è stato suggerito da alcune dichiarazioni di compagnie farmaceutiche che recentemente avevano lasciato intendere che i vaccini sarebbero stati forniti prima a Europa e Stati Uniti.
“Cosa succederà al resto del mondo?” ha dichiarato Yunus alla Reuters “è come se ce lo fossimo dimenticato! Il vaccino occorrerà a 8 miliardi di persone. Che ne sarà dei poveri? Cosa succederà ai paesi poveri che non potranno permettersi di pagare i prezzi che faranno pagare nei paesi ricchi?”
Com’è noto, non esiste ancora un vaccino contro COVID-19, ce ne sono oltre 100 in fase di sviluppo in tutto il mondo, ma solo una quindicina in fase molto avanzata di cui una metà in Cina, tanto è vero che l’esercito cinese ha iniziato una sperimentazione clinica di fase 3 (quella per capire se quel che per ora è risultato “sicuro” sarà anche “efficace”).
Gli esperti prevedono che un vaccino sicuro ed efficace potrebbe richiedere 12-18 mesi per svilupparsi; la casa farmaceutica Astrazeneca, una delle maggiormente coinvolte nelle ricerche, ha preso l’impegno di produrre 2 miliardi di dosi con l’obiettivo di garantire un accesso ampio, equo e “senza alcun profitto” ha affermato Lorenzo Wittum, presidente di AstraZeneca Italia, intervenendo ad ‘Agorà’ su Rai3 “Posso dire che il costo del vaccino sarà di pochi euro. Inizieremo verso fine anno a distribuire ed entro la fine dell’estate avremo i risultati dei test clinici di efficacia. Qualora fossero positivi, faremo il processo regolatorio e immediatamente inizieremo la distribuzione”. Si ipotizza che il costo per dose potrebbe essere di 2.5 euro a dose.
Yunus ha da subito chiarito che intende sostenere un vaccino “open source” per produrne in tutto il mondo coinvolgendo governi e aziende farmaceutiche su come eventualmente creare una casa farmaceutica senza fini di lucro. Si tratterebbe di una “social business” in cui “gli azionisti non vogliono trarne alcun profitto, quindi nessun dividendo sarebbe prelevato dalla società e possiamo ridurre i costi e produrre ovunque” ha concluso.
Tra i più noti sostenitori dell’iniziativa anche l’attrice Sharon Stone e l’imprenditore Richard Branson.
Di tutto questo, che ne pensa l’Italia?