Referendum Eutanasia Legale firme raccolte, Rocco Berardo, ideatore del quesito referendario fa alcune precisazioni rispetto ad un articolo del Sole 24 Ore della professoressa Giovanna Razzano
La professoressa Giovanna Razzano, in un articolo apparso sulla prima prima pagina de Il Sole 24 Ore del 17 gennaio 2022 dal titolo “Niente consenso libero al fine vita”, dà notizia dell’ordinanza dell’Ufficio Centrale del Referendum della Cassazione in merito al referendum Eutanasia Legale. L’articolo, riportando alcune informazioni parziali, che evidenziano una certa parzialità dell’autrice, ci obbliga in qualità di Comitato Promotore ad una necessaria integrazione.
Si scrive che le sottoscrizioni digitali a sostegno del quesito referendario “sono state determinanti per arrivare alle 500.000 necessarie”. A parte il sottinteso giudizio di valore su alcune firme, che non si capisce su quale base costituzionale si fondi, precisiamo quanto segue: le sottoscrizioni totali per il referendum, come abbiamo reso ampiamente noto, sono state oltre un milione e duecentomila (847.549 cartacee e 391.874 digitali), che per economia la Cassazione ha contato valide (ovvero autenticate e certificate) fino ad una certa soglia di sicurezza, corrispondente a circa il 10% in più rispetto al numero minimo previsto dalla legge, non avendo interesse a raggiungerla esclusivamente con l’una o l’altra tipologia di firma.
Una volta arrivata a quella cifra, ulteriori verifiche si sono interrotte. La Cassazione ha comunque contabilizzato le firme cartacee nel numero di circa 710.000, interrompendo, come detto, il conteggio di quelle presenti nelle ultime scatole. Pur regolari nella loro totalità – ovvero autenticate da un pubblico ufficiale previsto dalla legge – le firme cartacee erano corredate dal relativo certificato elettorale in 481.745 casi. Invece, a parte alcuni errori fisiologici in una raccolta firme di questa portata, la mancanza di certificati elettorali è stata riscontrata in 224.271 casi.
Insomma, le firme cartacee c’erano, ma mancavano i certificati elettorali.
Come sicuramente la Professoressa sa, ma è bene condividere l’informazione con i suoi lettori, questo non è dipeso dal Comitato Promotore, che non detiene i certificati elettorali dei cittadini, ma dalla violazione sistematica di legge da parte di centinaia di Comuni italiani che non li hanno trasmessi nel termine perentorio di 48 ore dalla richiesta, né dopo giorni, diffide e circolari ministeriali. Da un punto di vista costituzionale la professoressa potrà sicuramente condividere la rilevanza e gravità di questo fatto e riscontrare che questa è la vera notizia che si può dare dell’ordinanza da Lei commentata.
Nel suo articolo, però, la professoressa, tra l’altro socia fondatrice dell’Associazione Scienza e vita, si sofferma anche sui temi di merito del referendum, relativi all’ammissibilità. Secondo l’autorevole esponente di Scienza e vita, la giurisprudenza della Consulta «esclude l’ammissibilità di quesiti abrogativi di leggi a contenuto parzialmente vincolato che offrono una “tutela minima” indispensabile a garantire il nucleo essenziale di un diritto costituzionale».
La professoressa, però, non tiene conto che la struttura del quesito referendario, proprio sulla scorta dei rilievi della Corte costituzionale, fa salve le tutele verso le persone vulnerabili mantenendo intatta quella che la professoressa chiama “tutela minima” della vita. Il quesito, infatti, è parzialmente abrogativo della norma penale oggetto del referendum.
In ultimo, premesso che il termine “Eutanasia legale” è il nome della campagna politica e referendaria che il Comitato Promotore non ha mai chiesto quale titolo del referendum sulla scheda elettorale, come l’autrice lascia intendere, lo stesso comitato aveva proposto di includere sulla scheda referendaria la dicitura: “Disponibilità della propria vita mediante consenso libero consapevole ed informato”, a chiarimento dello scopo del voto.
Tale integrazione è stata rigettata dalla Cassazione perché, sostanzialmente, la natura del referendum abrogativo non consente di utilizzare termini in positivo. Prendiamo atto di tale decisione, precisando che la Cassazione però non dice nulla di più di questo, né potrebbe farlo, e che la professoressa attribuisce alla Cassazione indicazioni del tutto personali, proprie di una sua posizione politica più che giuridica, che saremo felici in altro ambito di discutere.
Rocco Berardo è membro della direzione dell’ALC. Avvocato, è stato consigliere regionale del Lazio dal 2010 al 2013 quando ha fatto esplodere, insieme al gruppo Radicale, il cosiddetto “scandalo Fiorito” sui fondi ai gruppi regionali. Cura il periodico Agenda Coscioni. Fa parte del collegio difensivo di Marco Cappato, nel processo che lo vede imputato nel caso Dj Fabo, e di Mina Welby, nel processo sull’analogo caso di Davide Trentini.