Perché in Africa un congresso sulla scienza?

Una ricerca degli ultimi articoli sull’Africa nella stampa internazionale includerà: la decisione, ancora da confermare, dell’amministrazione sudanese di transizione di mandare Omar al-Bashir alla Corte Penale Internazionale che nel 2009 l’aveva indagato per crimini contro l’umanità, genocidio e crimini di guerra; l’ultima strage di Boko Haram o le attività secessioniste in Camerun; il caos in Libia, i tumulti di piazza in Algeria; un’elezione contestata in Malawi, l’impunità in Kenya, e scandali nella Repubblica Democratica del Congo o in Angola. Le relazioni Nord-Sud girano intorno al bisogno di difendere i confini europei, applicare embargo sulle armi, aumentare la cooperazione militare contro il terrorismo – o nascondere discutibili affari sulle armi.

Questo è il tipo di copertura che caratterizza l’Africa nei media occidentali. Ma l’Africa è più di un pericolo per noi o di una causa persa per i suoi abitanti, molto più di quanto vogliono farci credere.

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, le cinque principali cause di morte in Africa (anche se in costante declino) sono: infezioni delle vie respiratorie, HIV/AIDS, diarrea, cardiopatia ischemica, parassiti e malattie trasmesse da vettori.

Oltre ai motivi sanitari, le due principali cause di morte nel continente sono gli incidenti automobilistici e la violenza interpersonale, non i conflitti armati.

Ma se dovessimo giudicare dal modo in cui l’Africa è trattata dai media occidentali, verrebbe da considerarla una parte del mondo permanentemente in fiamme per via delle guerre nazionali e internazionali. Gli africani muoiono a causa di malattie che, in molti casi, potrebbero essere curate con pronta risposta sanitaria o sistemi di welfare migliori dotati di personale qualificato.

In un articolo pubblicato su Nature l’anno scorso, un gruppo di ricercatori africani ha lanciato un appello per costruire la scienza in Africa, sostenendo che “per lottare contro i cambiamenti climatici e l’aumento della popolazione, al continente servono urgentemente ulteriori ricercatori cresciuti in casa”.

Con Marco Cappato eravamo appena tornati da Addis Abeba per preparare il Sesto Congresso Mondiale sulla Libertà di Ricerca Scientifica e, perfettamente in linea con quanto proposto dai ricercatori africani, abbiamo deciso di invitarli a un seminario che abbiamo organizzato alla facoltà di legge dell’Università di Addis Abeba a novembre 2019 per trattare tutti i problemi che affronta la scienza in Africa in un momento in cui la scienza sta diventando così centrale nel dibattito pubblico globale che le Nazioni Unite le hanno dedicato un Commento Generale.


L’idea che la scienza sia un diritto umano è recente, ma riferimenti alla scienza si trovano in decine di documenti internazionali e regionali: dall’articolo 27 della Dichiarazione universale dei diritti umani all’articolo 15 della Convenzione internazionale sui diritti economici, sociali e culturali; nel 2017 l’UNESCO ha adottato una definizione di scienza.

Quando un paese ratifica uno strumento internazionale sui diritti umani accetta di fare del suo meglio per corrispondere agli obblighi che derivano da quell’impegno. Se gli Stati non hanno una scusa per non rispettare questi obblighi, la situazione economica di ogni paese può presentare scenari differenti in termini di risorse per permettere il pieno godimento dei diritti economici, sociali e culturali.


La cooperazione multilaterale, che almeno sulla carta viene condizionata al rispetto dei diritti umani, dovrebbe progressivamente ampliare i campi in cui articola il proprio sostegno. Ci sono centinaia di cooperazioni individuali tra università che vanno avanti da anni e con successo, ma la mancanza di uno spazio scientifico unico e libero, gli ostacoli posti al movimento di scienziati, ricercatori, e studenti, oltre che i problemi nel vedere diplomi e altri titoli accademici riconosciuti minano la ricerca scientifica.

Ed è esattamente su questo che dovrebbe cominciare un dialogo più strutturato, comprensivo e transnazionale tra i paesi ricchi e quelli in via di sviluppo:

sul bisogno di permettere – a tutti – il pieno godimento dei benefici del progresso scientifico e delle sue implicazioni, da quelli storicamente conosciuti agli sviluppi più recenti.

Se la scienza è un diritto umano, e abbiamo visto che lo è, dobbiamo sollecitare le istituzioni internazionali a investire a livello globale nella libertà di ricerca, la condivisione della conoscenza e il godimento dei benefici della scienza applicata.

Mentre molto rimane ancora da fare per rafforzare le tradizionali attività promosse nel campo della cooperazione internazionale per lo sviluppo, una maggiore attenzione dovrebbe essere dedicata per adottare regole e regolamenti a livello internazionale per permettere una condivisione più libera di ricerca, ricercatori e pazienti dal nord al sud e viceversa, per investire nel fornire medicine essenziali ma anche in quelle più sofisticate nei paesi in via di sviluppo e nel promuovere la ricerca in tutti i campi nel cosiddetto “sud globale”.

La Sesta Sessione del Congresso Mondiale sulla Libertà di Ricerca Scientifica, facilitata e ospitata dalla Commissione dell’Unione africana, tratterà temi che includono ricerca sulle cellule staminali, medicina di precisione, salute riproduttiva, nuove tecniche di coltura e l’introduzione di nuovi prodotti sul mercato, oltre che l’accesso libero alla scienza, gli open data e l’intelligenza artificiale per sottolineare i molti temi legati al “diritto alla scienza” che devono essere protetti e promossi come se fossero un diritto umano.

Speriamo che l’incontro di due giorni si possa concludere con una serie di raccomandazioni per contribuire al movimento globale per promuovere riforme basate su fatti ed evidenze scientifiche, liberando le decisioni da ideologie ancora presenti e potenti – a partire forse da quella che descrive l’Africa come “il terzo mondo”.