Lettera inviata al Dott. Emanuele Boffi, Direttore responsabile di Tempi, mai pubblicata.
Egregio Direttore,
ho letto con attenzione gli articoli del 22 ottobre 2019 “Ora l’Olanda punta all’eutanasia per i bambini sotto i 12 anni” e del 20 dicembre 2019 “Suicidio assistito. I dati ci dicono che i paletti della Consulta non reggeranno”.
Ritengo che gli articoli siano scritti con metodi giornalistici discutibili e con uno stile di informazione faziosa nei confronti di paesi democratici come Olanda e Belgio.
La lezione più importante da trarre dall’esperienza olandese non riguardano le virtù, i difetti, i pericoli e le prospettive del modo in cui gli olandesi hanno scelto di legalizzare l’interruzione della vita su richiesta, né i problemi che hanno riscontrato nel raggiungere un controllo efficace, ma la qualità della discussione pubblica.
Forse non è sempre così profondo come uno vorrebbe. In nessun’altra parte del mondo, sopratutto in Italia, queste questioni sono state e sono tuttora discusse in modo così aperto, sistematico, sereno e ponderato e con una tale mancanza di rigidità ideologica e religiosa come nei Paesi Bassi. Altri paesi possono scegliere altre vie, ma difficilmente riescono a ignorare l’esperienza olandese, se non affrontando il dibattito pubblico e politico con modestia, apertura mentale, trasparenza e sopratutto rispetto per le opinioni altrui.
In questo contesto di massima trasparenza sono effettuate indagini, ricerche e sondaggi per individuare gli sviluppi nella società civile che riguardano temi importanti per la cittadinanza compresi quelli che riguardano il fine-vita. È paradossale che detta trasparenza è poi oggetto di critica da giornalisti che vivono in un paese dove i governanti non hanno il coraggio di sondare in profondità le opinioni dei cittadini in temi delicati come quelli che riguardano il fine-vita.
Per quanto riguarda l’articolo del 22 ottobre vorrei osservare quanto segue.
Studiare un tema che riguarda un aspetto del fine-vita è un segno di una civiltà come nei casi delle sofferenze di minori gravemente malati.
Usare la terminologia “uccidere” per sospendere le cure di un neonato che mostra segni di continue sofferenze senza le minime prospettive di miglioramento, è solo ideologia. Lo stesso vale per genitori che pur vedendo le sofferenze del loro figlio, lo vogliono in vita nonostante le prognosi infauste dei medici. Un comportamento del genere considero puro egoismo.
Le affermazioni “La tanta sbandierata garanzia di tutelare attraverso la regolamentazione delle procedure i pazienti più fragili si è ribaltata in pochissimo tempo nel suo opposto ……” e più avanti “nella totale assenza di qualunque proprio per le persone più deboli ……..” sono prive di qualsiasi fondamento.
Il pericolo temuto dagli oppositori all’eutanasia del pendio scivoloso (slippery slope) non è avvenuto nei 18 anni dopo la approvazione della Legge sul controllo dell’interruzione della vita su richiesta e del suicidio assistito. Il sistema di controllo rigido dalle Commissioni di Controllo, l’alto livello etico dei medici olandesi, la supervisione del Parlamento e l’attenzione della giustizia non abbia permesso che ciò è accaduto. Detta circostanza è stata confermata dalle valutazioni quinquennali della Legge, l’ultima pubblicata in 2017.
Su 62.000 casi di eutanasia, nessun medico è stato condannato per non aver rispettato i requisiti di accuratezza prescritti dalla legge e nessuna denuncia è stata fatta da familiari o terzi di malati deceduti in seguito all’applicazione dell’eutanasia senza il consenso del malato stesso. In questa situazione spesso si confonde il pendio scivoloso con una maggiore conoscenza del “soffrire”. Detta conoscenza ha comportato il riconoscimento delle sofferenze insopportabili e senza prospettive per malati psichici, pur con la dovuta prudenza e cautela e la maggiore difficoltà di accertamento della volontà del paziente. Dalle richieste ricevute per questa categoria di malati soltanto 9% (dato 2017) è stato accolto. Un altro fatto è che il numero di casi di eutanasia di malati vulnerabili come gli anziani che soffrono di affezioni multiple è rimasto stabile negli ultimi sette anni.
I recenti requisitori (non sentenze!) del Procuratore Generale della Corte Suprema (n 2019 – 1338) riguarda l’annullamento dell’ammonizione del Collegio Disciplinare della Sanità del medico che ha applicato l’eutanasia a una donna con demenza avanzata. La paziente aveva in più occasioni affermato davanti al medico e i familiari, quando era ancora capace di intendere e volere, di terminare la vita quando la malattia degenerativa avesse raggiunto un certo stadio, volontà poi fissata nella dichiarazione di volontà scritta.
Il Collegio Disciplinare ha contestato al medico di non avere chiesto alla donna, prima del decesso, la conferma la sua volontà.
Il PG invece ha ritenuto che la pretesa del Collegio sia ingiustificata nel caso che un malato che a causa della degenerazione cognitiva non è più in grado di comunicare in modo sensato. In tal caso vale quanto scritto nella dichiarazione di volontà del paziente oltre al giudizio del medico, la storia della malattia, come risulta dal dossier medico e il parere del secondo medico interpellato, come previsto dalla legge. La sentenza della Corte Suprema è prevista nell’inizio del 2020.
Non esiste nessun rapporto tra le conclusioni sopra descritte del PG e l’approdo al parlamento dell’intemerata sui bambini come suggerito dal giornalista. Per maggiore chiarimento nessuna proposta di legge è stata presentata nel Parlamento per legalizzare l’eutanasia di minori tra 1 e 11 anni né è l’intenzione del Ministro della Sanità di farlo.
È scandaloso di parlare di business altamente remunerativo suggerendo che i medici applicano all’eutanasia per arricchirsi. Se il giornalista si avesse degnato di studiare profondamente lo scopo della “Clinica di fine vita” sarebbe arrivato a conclusioni meno offensive nel confronto di medici scrupolosi e compassionali.
Il Centro di fine vita (non è una clinica fisica) è costituito con l’obiettivo fornire supporto ai medici nei casi complessi di eutanasia. Gestisce inoltre dei team di medici che applicano l’eutanasia la dove il medico non vuole intervenire p.e. l’obiezione di coscienza oppure il caso è complesso.
I rimborsi delle compagnie di assicurazione per detti interventi non bastano a finanziare l’attività del Centro che sopravvive finanziariamente grazie alle donazioni di privati, altro che business.
Sarebbe interessante sapere su quali presupposti si basa l’affermazione che si sta rimodellando il sistema sanitario olandese. Il sistema olandese è aggiornato periodicamente per adeguarsi alla necessità della società civile (p.e. l’invecchiamento) e le nuove tecnologie nel campo medico. Questo fatto consente alla sanità olandese di essere e rimanere tra le migliori in Europa
Passando all’articolo del 20 dicembre 2019 vorrei osservare quanto segue.
Il punto del pendio scivoloso l’ho già commentato prima.
Non è possibile rispondere alle affermazioni sugli incrementi in percentuali quando non si sa a quali affezioni il giornalista si riferisce né il numero dei casi. Fa però effetto indicare solo percentuali, che probabilmente sarà stato l’obiettivo del giornalista.
Non è vero che erano solo pazienti oncologici, già in 2002, primo anno dell’entrata in vigore della legge, 30% erano casi di affezioni somatiche non causate da tumori come cuore e arterie, il sistema nervoso e polmoni.
Sull’argomento della proliferazione delle “cliniche del fine-vita” in Olanda: NON esiste nessuna clinica in tal senso.
L’eutanasia per motivi esistenziali, quella dal giornalista definita “suicidi razionali”, quindi senza base medica, è vietata in Olanda. Perciò sarebbe interessante sapere la fonte dove il giornalista ha trovato l’informazione riportata.
Attualmente nessuna proposta di legge, per legalizzare l’eutanasia per persone stanche di vivere, è in discussione nel Parlamento olandese e il tema non è incluso nel programma del governo Nel 2017 la Commissione Schnabel ha pubblicato un rapporto, concludendo che neanche è auspicabile una tale legislazione, parere fatto proprio di nuovo recentemente dal Ministro della Sanità. È in atto uno studio commissionato dal governo per conoscere la reale consistenza del fenomeno “stanche di vivere” o “vita compiuta”.
Il tema dell’eutanasia non-volontaria (casi non segnalati) è ampiamente trattato nella pubblicazione “Terza valutazione della legge”. Nel 2015 si trattava di 0,3% dei decessi (147.000). In 81% dei casi il paziente aveva una prognosi di vita inferiore a una settimana.
Il confine tra l’eutanasia e le cure palliative e/o la terapia del dolore non sempre è ben identificabile (nota come area grigia). Nei casi non segnalati il medico ha considerato che il decesso è avvenuto come effetto collaterale di dette cure, applicato in ogni caso per il benessere del paziente e di norma concordato con lui. Ciò non esclude che esistono casi “non volontari” anche se non è mai stata presentata una denuncia da parenti o terzi in tale senso.
Grazie, per fortuna, il “doctor-shopping” in Olanda e Belgio non è un problema. Le linee guida etiche-deontologiche mediche richiedono che il medico che rifiuto di accogliere una richiesta di eutanasia, rimanda il paziente a un suo collega. Costringere un malato con sofferenze insopportabili, fare una ricerca per trovare un medico disposto ad aiutarlo non è degno di uno stato civile. Stato dove il parlamento eletto democraticamente ha legalizzato quando e come morire, rispettando certi requisiti.
Sulla spinta sottile di “medici che hanno un potere sproporzionato rispetto alla debolezza di un anziano” sarebbe interessante effettuare un sondaggio tra i medici italiani per sapere quante volte avviene negli ospedali da medici che per compassione sospendono la tortura di un paziente, evitando l’accanimento terapeutico in nome di una religione o di ideologia, comportamento etichettato come “obiezione di coscienza”.
Non voglio commentare la tesi, molto discussa, del ruolo professionale del medico. Il legislatore olandese ha deciso, poi confermato dalla Corte Suprema, che l’eutanasia e l’assistenza al suicidio devono essere applicate da persone competenti individuandoli in medici e farmacisti. La professione medica è d’accordo con questa posizione e l’ha confermato nelle linee guida.
Sarebbe interessante sapere quante persone sono “trascinate verso una soluzione che non desiderano”, certe affermazioni, per non essere slogan vuoti, necessitano almeno di una quantificazione del fenomeno e la fonte della notizia.
Sia la Sanità olandese sia quella belga hanno sviluppato un sistema di cure palliative con una copertura territoriale di 100% (e non 30% come in Italia!), posizionandosi al top in Europa. Lo stesso vale per le cure di e l’attenzione per persone vulnerabili come anziani (isolati), disabili e quelle che soffrono di affezioni psichiatriche o degenerative.
Ricerche effettuate hanno mostrato l’importanza di rimuovere il tabù del fine-vita. Il ruolo del medico in questo processo è fondamentale soprattutto per gli anziani. Conoscendo le soluzioni disponibili per lenire eventuali sofferenze future, rende più sereno il paziente e i familiari. Una preparazione, soprattutto psicologico, dei familiari che la fine di un caro è imminente rende più sopportabile il lutto e ne diminuisce la durata. Suddetto compito del medico non è facile e richiede la dovuta preparazione.
Ho partecipato sia come auditore sia come relatore alla presenza della legge 219/2017. È allarmante la conoscenza limitata dei cittadini di detta legge e delle cure palliative. È altrettante allarmante la mancanza dei medici di famiglia a tali incontri. Sarà ora che gli Ordini dei Medici invitassero i loro associati a discutere tempestivamente con il paziente, che vedono avvicinarsi il fine della loro vita, le cure disponibili tenendo conto con la sua volontà.
Le conclusioni che ho tratto dagli incontri con i responsabili di associazioni belghe e membri della commissione di controllo che il porto belga è più sicuro di quello italiano perché là nessun malato terminale corre il rischio di essere sottoposto ad accanimenti terapeutici per motivi religiosi o per paternalismo medico.
Egregio direttore, siamo fortunati di vivere in un paese dove i giornalisti possono esprimere liberamente la loro opinione, basta che ciò non finisca in commenti faziosi o l’alterazione intenzionale dei fatti come sopra indicato.
Grazie per l’attenzione e distinti saluti,
Johannes Agterberg
Autore di “Libertà di decidere – fine-vita volontario in Olanda” e “Fine-vita volontario in Olanda – per chi ne vuole sapere di più”.
Olandese di nascita e italiano di adozione. Attualmente è membro della Direzione dell’Associazione Luca Coscioni. Una carriera professionale come revisore contabile e successivamente come consulente aziendale. Dopo la sua decisione di terminare la carriere professionale, si è dedicato al volontariato. Da più di 40 anni è socio dell’Associazione Olandese di Fine-vita Volontario (NVVE). Circa 5 anni fa, dopo l’ennesima “fake-news” sull’eutanasia in Olanda, ha deciso di pubblicare un saggio, frutto di circa 3 anni di ricerca, sulla legislazione olandese e la sua applicazione. Nel 2017 pubblica “Libertà di decidere – fine-vita volontario in Olanda”. Attualmente è rappresentante dell’Associazione Luca Coscioni alla Word Federation of Right to Die Societies.