Le libertà e i finanziamenti negati alla scienza in Italia

laboratorio ricerca

In occasione del tredicesimo anniversario della morte di Luca Coscioni, il prossimo 20 febbraio l’Associazione organizza al CNEL, con il patrocinio della Camera dei Deputati un convegno sulla “libertà di ricerca scientifica in Italia: libertà a finanziamenti” per presentare i documenti che verranno inviati alle Nazioni unite per denunciare quali e quante proibizioni persistono nel nostro Paese quando si parla di scienza.

Nel 2019 infatti l’Italia sarà chiamata dal Consiglio ONU sui diritti umani e dal Comitato sui diritti economici, sociali e culturali a presentare una relazione periodica sul rispetto degli obblighi internazionali derivanti dalla ratifica dei maggiori trattati internazionali in materia di diritti umani. Stiamo lavorando a due “rapporti ombra” per proporre le riforme necessarie per proteggere e promuovere il diritto della e alla scienza in un Paese che per anni ha imposto limiti e proibizioni e progressivamente diminuito gli investimenti pubblici nella ricerca.

Secondo uno studio pubblicato nella primavera del 2018 dal Consiglio Nazionale delle Ricerche “la caduta più vistosa” degli investimenti del 2010 del Ministero per l’Istruzione è avvenuta a “causa dell’assenza di stanziamento per il Fondo Ricerca Applicata e, nel 2012, a causa di una forte riduzione degli stanziamenti per la ricerca di base. L’aumento registrato tra il 2012 e il 2014 non riesce assolutamente a recuperare il volume del 2009. La caduta dello stanziamento pubblico si registra anche all’Agenzia Spaziale Italiana e al CNR, mentre lo stanziamento del Ministero dell’Economia e quello della ricerca in agricoltura restano sostanzialmente stabili anche se con volumi estremamente ridotti rispetto a quelli degli altri soggetti considerati”. Mentre nel mondo la ricerca avanza velocissima.

Contrariamente agli impegni richiesti dall’Unione europea d’investire il 3% del prodotto interno lordo in ricerca e sviluppo, l’Italia ne destina solo l’1,3% a quelle attività – quanto Portogallo ed Estonia, ponendoci al 12esimo posto tra gli Stati Membri dell’Unione, dopo, tra gli altri, Repubblica Ceca e Slovenia.

Il 20 Febbraio arricchiremo il nostro lavoro a favore della libertà di ricerca scientifica con contributi relativi anche all’aspetto economico.

Da oltre 15 anni l’Associazione Luca Coscioni si batte per promuovere e proteggere la libertà di ricerca scientifica e l’affermazione del diritto all’autodeterminazione personale. L’incontro del 20 prevede una serie di interventi che affronteranno i problemi strutturali della scienza in Italia evidenziando come il combinato disposto tra la mancanza di libertà di ricerca in alcuni campi d’avanguardia, come le biotecnologie umane e vegetali, affiancata alla riduzione dei finanziamenti anche in settori in cui, tradizionalmente, Italia eccelle stiano relegando il nostro Paese all’insignificanza per quello che riguarda il futuro.

Anche se il rapporto tra spesa in ricerca e sviluppo e Pil è passato dall’1,0% del 2000 all’1,3% del 2015, la spesa per ricerca e sviluppo finanziata dal Governo è rimasta stazionaria – di poco superiore allo 0,5% del Pil – mentre gli stanziamenti del MIUR verso gli enti pubblici di ricerca sono scesi dai 1.857 milioni del 2002 ai 1.483 milioni del 2015.

Secondo quanto raccolto dallo studio del CNR, nonostante i pochi fondi, i ricercatori italiani sono però riusciti a produrre buoni risultati: “Dal 2000 al 2016 il contributo italiano alle pubblicazioni scientifiche è passato dal 3,2% al 4% della quota mondiale, raggiungendo la Francia”. Un dato di tutto rispetto se si tiene in considerazione che i paesi occidentali hanno visto la propria quota di pubblicazioni ridursi con l’imporsi di paesi emergenti, primo tra tutti la Cina.

All’inizio del 2018, la National Science Foundation degli Stati Uniti ha calcolato che nel 2016 il numero di pubblicazioni scientifiche cinesi ha superato per la prima volta quelle Made in USA: 426.000 contro 409.000. Con 496 miliardi di dollari spesi, gli Stati Uniti restano il primo Paese in assoluto per investimenti in ricerca, spendendo il 26% del totale mondiale, ma la Cina segue con un incremento del 18% annuo dal 2000 (negli USA era solo il 4%) raggiungendo i 408 miliardi di dollari (il 21% del totale globale). Il dato significativo è che nel 2016 la Cina ha totalizzato anche 34 miliardi di dollari investiti da privati in venture capital.

Quantità non significa necessariamente qualità, ma è certo che la Cina, come il resto dell’Asia orientale, può ormai competere con scoperte originali e non solo duplicare quanto prodotto in Occidente – la clonazione delle due scimmiette all’inizio del 2018 o la nascita di due gemelline con il DNA editato della fine dell’anno scorso ne sono la riprova. La Svezia e la Svizzera producono le pubblicazioni scientifiche più citate, seguite dagli Stati Uniti e altri stati membri dell’Unione europea, ma se gli studi cinesi son quelli meno ripresi dalla comunità scientifica globale e il vantaggio cinese sugli USA in termini di risultati di ricerca non è valido in tutti i campi – i ricercatori statunitensi ed europei producono più studi (e brevetti) nelle scienze biomediche – la Cina è indubbiamente leader nella ricerca ingegneristica necessaria al potenziamento dell’intelligenza artificiale e nella sua applicazione massiccia nella profilazione -e controllo – dei suoi cittadini.

L’estate scorsa, il Consiglio di Stato della Repubblica Popolare Cinese ha adottato un piano ambizioso per cui, entro il 2030, il Paese dovrà divenire il “principale centro mondiale per l’innovazione dell’intelligenza artificiale“. Secondo alcuni esperti, nel prossimo decennio, l’industria nazionale cinese che s’interessa d’intelligenza artificiale potrebbe avere un giro d’affari di 150 miliardi di dollari. Negli ultimi mesi, il governo e l’industria cinese hanno lanciato decine di iniziative relative all’intelligenza artificiale – tra le più importanti la costruzione di un parco tecnologico da 2,1 miliardi di dollari alla periferia di Pechino per ospitare 400 imprese attive nel settore. Il parco si concentrerà su tecnologie emergenti tra cui big data, deep learning, cloud computing e l’identificazione biometrica; il giro d’affari previsto è di 7,68 miliardi di dollari all’anno. Gli investimenti della Cina nel calcolo quantico e i microchip di nuova generazione stanno crescendo in modo talmente esponenziale che l’Amministrazione Trump sta bloccando fusioni e acquisizioni di imprese strategiche perché teme per la propria sicurezza nazionale e tiene sotto costante e strettissimo controllo tutto ciò che ha a che fare cogli interscambi nell’industria dei semiconduttori.

La Cina, forte di una costante crescita economica degli anni passati, ha investito massicciamente in innovazioni tecnoscientifiche che da un lato fanno tesoro delle più recenti scoperte ma dall’altro le usano per consolidare un regime basato sul controllo invasivo e pervasivo dei comportamenti dei propri cittadini che, con tutta questa “offerta” tecnologica, continuano a non poter godere dei propri diritti civili e politici.

Tornando alla nostra Italia, secondo quanto raccolto dal CNR preoccupa seriamente la moderata crescita del personale di ricerca, e la caduta dei dottori di ricerca da oltre 10 mila del 2007 a meno di 8 mila nel 2016. Qualche dato positivo arriva invece dai brevetti: aumentano quelli depositati da imprese e autori italiani, con l’ingegneria meccanica come settore di punta. “Se non si investe di più – commenta Daniele Archibugi, uno dei curatori del rapporto che sarà presente all’incontro organizzato dall’Associazione Luca Coscioni al CNEL il 20 febbraio -, la situazione diventerà critica”.

Anche l’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca in un suo rapporto conferma che la spesa per la ricerca è ancora bassa, pari all’1,32% del Pil, a fronte del 2,36% della media dei paesi Ocse e dell’1,95% per la media dei Paesi Ue. Sempre secondo l’ANVUR la spesa per la formazione terziaria in rapporto al Pil è pari a meno di 2/3 di quella media dei paesi Ocse (0,96% rispetto all’1,55%).

A fronte di questi scarsi finanziamenti, c’è invece una ripresa nel numero dei laureati tra i 25 e 34 anni, tornato ai livelli del 2008-09, con un +2,7% nell’ultimo triennio. Sale anche il tasso di occupazione dei giovani laureati (+4,3%) e delle immatricolazioni all’università, arrivate nel 2017/2018 a quota 291.000, l’8,2% in più rispetto al minimo del 2013/14.

Recentemente il Ministro Marco Bussetti ha proposto di istituire un’Agenzia Nazionale della Ricerca, una proposta che alcuni dei Consiglieri Generale dell’Associazione e, tra gli altri, il Gruppo 2003 per la ricerca scientifica, sostengono da tempo, ma con caratteristiche diverse da quelle che, almeno stando a quanto riportato dalla stampa, sembrerebbe considerare il MIUR.

L’incontro del 20 febbraio è aperto al pubblico e prevede anche la partecipazione del Corpo diplomatico.