Eutanasia, in Olanda è stato assolto un altro medico

Il Pubblico Ministero, nuovamente, rinuncia al perseguimento di un medico per un caso di eutanasia

Si trattava di un caso di eutanasia su richiesta di una donna di 84 anni che soffriva insopportabilmente, dato che le mancavano le prospettive ragionevoli di un miglioramento. In particolare, la donna soffriva di artrosi alle articolazioni, gli arti e la schiena causando una riduzione della libertà di muoversi.

Aveva perso anche la sua indipendenza ed era molto ansiosa per gli sviluppi futuri della sua malattia. La donna era curata con una terapia del dolore ma non aveva l’effetto desiderato e le davano fastidio gli effetti collaterali. Rifiutava altri trattamenti. Il medico di famiglia che aveva ricevuto la richiesta di eutanasia, l’aveva indirizzata al Centro Esperienza Eutanasia. Il medico dello SCEN (Supporto e Consultazione Eutanasia) aveva valutato che i requisiti di accuratezza erano stati rispettati poi confermato dal gruppo di medici multidisciplinari per una seconda valutazione.

La Commissione Controllo Eutanasia (spesso nota come la Commissione) ha giudicato che il medico non aveva considerato a sufficienza altri possibili trattamenti e quindi non ha potuto accertare che la sofferenza era senza prospettive di miglioramento.

Durante l’indagine il Pubblico Ministero ha notato che alla donna mancava il respiro e che soffriva molto nonostante la terapia del dolore. Non c’erano dubbi sulla diagnosi del medico e sulle prospettive infauste. Trattamenti possibili presi in considerazione riguardavano un percorso di trattamento pesante in una clinica di riabilitazione oppure un’altra medicazione. I due percorsi non erano da considerare una soluzione ragionevole, perché non erano da aspettarsi dei miglioramenti della sua condizione. Per questa ragione non si poteva pretendere ragionevolmente che la donna si sottoponesse a detti trattamenti.

Sulla base dell’esito delle indagini, il Collegio dei procuratori generali (Collegio) ha concluso che non esisteva la prova per una accusa penale. In tutta ragionevolezza il medico ha potuto valutare che si trattava di una sofferenza insopportabile e senza prospettive e che in questo caso non esisteva un’altra soluzione ragionevole per lenire il dolore. Anche gli altri requisiti, stabiliti dalla Legge sul controllo dell’interruzione della vita su richiesta e del suicidio assistito del 2002, sono stati rispettati. Conseguentemente il caso è stato archiviato.

Il Collegio osserva che la Commissione aveva giudicato il caso senza avere a disposizione una documentazione rilevante completa. Il medico avrebbe dovuto documentare meglio che non esisteva un’altra soluzione ragionevole di trattamento. A tale proposito si aspetta dal medico che in futura presenterà alla Commissione una segnalazione più approfondita e completa. 

Grazie all’indagine del PM è stato ottenuto un quadro più precisa e completa del caso come base per la decisione del Collegio.

Fonti:

  • Comunicato Stampa Ministero di Giustizia del 7 maggio 2020
  • Giudizio della Commissione n. 2017-79