Referendum ed eutanasia: perché pur avendo perso da certi punti di vista abbiamo vinto.

La dichiarazione di inammissibilità del quesito referendario da parte della Corte costituzionale ha indubbiamente rappresentato un duro colpo. Sia per coloro che lo hanno ideato e promosso con impegno e passione sia per le migliaia di persone che durante l’estate sono andate a firmare. 

Tuttavia, continuare ad insistere esclusivamente sugli aspetti negativi della vicenda – come è per lo più accaduto a livello mediatico – sarebbe miope e riduttivo. Infatti, al di là dell’esito sfavorevole e dei tentativi di screditamento dell’operazione da parte di Giuliano Amato (secondo cui il quesito sarebbe stato “scritto male”) la campagna per il referendum ha avuto anche importanti aspetti positivi, fra i quali riteniamo utile evidenziarne alcuni.

Innanzitutto, essa ha avuto l’effetto di attirare ulteriormente l’attenzione sui problemi di fine vita, stimolando direttamente i cittadini a prendere posizione nei confronti di una tematica “eticamente sensibile” che riguarda tutti ed è resa oltremodo attuale dalle  molte persone che soffrono. Particolarmente significativo è il vivo interesse manifestato dalle donne e dai giovani.

Nel contempo essa ha rappresentato una sorta di “verifica” di ciò che si sapeva già prima grazie ai sondaggi: ossia che una larga parte di connazionali –  fra cui un consistente gruppo di cattolici – non è affatto contraria bensì favorevole all’eutanasia.

La parola stessa “eutanasia”, che sino a qualche tempo fa appariva impronunciabile, ha finito per essere “sdoganata” e per entrare a pieno diritto nel linguaggio comune e in quello mediatico. Lo stesso vale per l’espressione “eutanasia legale”. E poiché le grandi battaglie culturali e politiche della storia sono anche battaglie di parole ciò costituisce un non trascurabile elemento di rilievo.

La campagna a favore del referendum ha avuto anche l’effetto, per certi versi  “inedito”, di diffondere presso un’ampia cerchia di persone  l’idea filosofica secondo cui la propria vita – contrariamente alla convinzione predominante nella nostra nostra cultura – non è una realtà “indisponibile” bensì, almeno in determinate situazioni di sofferenza, una realtà “disponibile”. Idea innovativa e strategica, che rappresenta uno dei presupposti della battaglia a favore della morte medicalmente assistita e che ha trovato una efficace esemplificazione nello slogan “la mia vita appartiene a me!”.

Per quanto concerne il piano pratico-politico la mobilitazione referendaria ha avuto una funzione di “spauracchio” nei confronti della classe politica che, almeno in parte, sembra ormai convinta della urgente necessità di varare finalmente una legge sul suicidio assistito in grado di recepire le indicazioni della sentenza 242/19 (anche se da parte nostra non mancano le preoccupazioni che ne esca fuori una cattiva legge basata su un “compromesso al ribasso” o che addirittura il provvedimento non passi al Senato).

Anche una componente di rilievo del mondo cattolico, in deroga alla tradizionale idea della illiceità non solo morale ma anche socio-giuridica dell’aiuto al suicidio, appare ora disposta – con il dichiarato intento di evitare quel male maggiore che sarebbe la legalizzazione dell’eutanasia – a fornire un “appoggio” alla legge in questione. E ciò in antitesi al pregresso convincimento magisteriale, sostenuto tuttora dalla componente integralista del mondo cattolico e dai politici in sintonia con essa secondo cui non si sarebbe mai dovuto appoggiare (“né oggi né domani”) una simile legge. Segno evidente che la spallata referendaria, anche in questo caso, non è passata invano.

“Spallata” di cui è significativa testimonianza mediatica il fatto che anche  persone che non si sono mai occupate specificamente – o non hanno mai scritto una riga – sui temi del suicidio assistito e dell’eutanasia hanno sentito la necessità di esprimere (o sono state invitate ad esternare)  le loro opinioni in proposito.

E ciò a ennesima conferma che su questi temi cruciali –  grazie alla mobilitazione promossa dell’Associazione Luca Coscioni – si è ormai avviato un dibattito pubblico che non coinvolge soltanto più un gruppo ristretto di filosofi, bioeticisti e giuristi.  

I punti che abbiamo schematicamente elencato non sono ovviamente gli unici rilevabili. Essi sono però sufficienti a mettere in evidenza come la vicenda referendaria, a discapito della sconfitta subita, abbia avuto un notevole impatto sulla vita culturale, sociale giuridica e politica del nostro Paese.

“Impatto” che ci conduce a ritenere che la partita complessiva, nonostante qualche vittoria di Pirro della parte avversa, non sia affatto chiusa e che la decisione di non ammissibilità della Consulta (come hanno subito dichiarato i promotori del referendum) pur avendo indubbiamente “intralciato”, non ha certo “frenato” la lunga marcia italiana verso la legalizzazione dell’eutanasia.