Emmanuela Bertucci, legale Aduc
In una recente ordinanza (3 aprile 2009) il Tribunale di Venezia ha chiesto alla Corte Costituzionale di pronunciarsi sulla legittimita’ o meno delle norme che implicitamente vietano il matrimonio fra persone dello stesso sesso. Il caso parte da una coppia omosessuale che ha chiesto all’ufficiale dello Stato Civile del proprio Comune di residenza le pubblicazioni di matrimonio, e ha impugnato in Tribunale il diniego di pubblicazioni.
Il Tribunale di Venezia non ha obbligato, come richiesto dai ricorrenti, l’Ufficiale di Stato civile alle pubblicazioni, cosi’ negando, allo stato delle norme, la possibilita’ di contrarre un matrimonio fra persone dello stesso sesso. Infatti, benche’ il codice civile non indichi la differenza di sesso fra i coniugi come requisito a contrarre matrimonio ne’ indichi l’uguaglianza di sesso come un impedimento al matrimonio, e’ innegabile che molto norme codicistiche fanno chiaro riferimento a “moglie” e “marito”, donna e uomo.
Ritiene piuttosto il Tribunale che tale divieto sia incostituzionale e sara’ dunque la Corte costituzionale a decidere se sia possibile il matrimonio fra persone dello stesso sesso.
Infatti -secondo i giudici di primo grado- “non si puo’ ignorare il rapido trasformarsi della societa’ e dei costumi avvenuto negli ultimi decenni, nel corso dei quali si e’ assistito al superamento del monopolio detenuto dal modello di famiglia normale, tradizionale e al contestuale sorgere spontaneo di forme diverse, seppur minoritarie, di convivenza, che chiedono protezione, si ispirano al modello tradizionale e come quello mirano ad essere considerate e disciplinate. Nuovi bisogni, legati anche all’evoluzione della cultura e della civilta’, chiedono tutela, imponendo un’attenta meditazione sulla persistente compatibilita’ dell’interpretazione tradizionale con i principi costituzionali. Il primo riferimento costituzionale con il quale confrontarsi, suggerito anche dai ricorrenti, e’ sicuramente quello di cui all’art. 2 della Costituzione, nella parte in cui riconosce i diritti inviolabili dell’uomo (diritti gia’ proclamati dalla Costituzione ovvero individuati dalla Corte
Costituzionale) non solo nella sua sfera individuale ma anche, e forse soprattutto, nella sua sfera sociale, ossia, secondo la formula della norma, "nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalita’", fra le quali indiscutibilmente la famiglia deve essere considerata la prima e fondamentale espressione. La famiglia e’ infatti la formazione sociale primaria nella quale si esplica la personalita’ dell’individuo e nella quale vengono quindi tutelati i suoi diritti inviolabili, conferendogli uno status (quello di persona coniugata) che assurge a segno caratteristico all’interno della societa’ e che conferisce un insieme di diritti e di doveri del tutto peculiari e non sostituibili tramite l’esercizio dell’autonomia negoziale”.
La questione della possibilita’, secondo la normativa vigente, di celebrare un matrimonio fra persone dello stesso sesso e’ questione gia’ trattata da altri Tribunali italiani, che finora hanno sempre negato le pubblicazioni alle coppie omosessuali sostenendo, come nel caso del Tribunale di Firenze (sent. 2757/07) che il matrimonio non fosse un diritto fondamentale, e che dunque non fosse meritevole di una autonoma tutela costituzionale. Fortunatamente di diverso avviso e’ il Tribunale di Venezia, che riconosce il diritto al matrimonio come fondamentale non solo per l’ordinamento italiano ma anche per le norme internazionali vigenti (Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, Convenzione Europea per i diritti dell’uomo, Carta di Nizza).
La scelta del proprio coniuge afferisce alla sfera di autonomia e individualita’ della persona e lo Stato non puo’ ingerire nel privato, a meno che non vi siano degli interessi ritenuti prevalenti e con tale scelta incompatibili: “nell’ipotesi in cui una persona intenda contrarre matrimonio con altra persona dello stesso sesso il Tribunale non individua alcun pericolo di lesione ad interessi pubblici o privati di rilevanza costituzionale, quali potrebbero essere la sicurezza o la salute pubblica”.
Il divieto di contrarre matrimonio con persona dello stesso sesso viola anche l’art. 3 della Costituzione italiana, che riconosce a tutti i cittadini pari dignita’ sociale senza distinzione di sesso, dignita’ che lo Stato si impegna a tutelare rimuovendo quegli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana.
Lo Stato -afferma il Tribunale- e’ obbligato costituzionalmente a rimuovere questi impedimenti: “ne consegue che se lo scopo del principio di cui all’art. 3 della Costituzione e’ vietare irragionevoli disparita’ di trattamento, la norma -implicita nel nostro sistema- che esclude gli omosessuali dal diritto di contrarre matrimonio con persone dello stesso sesso, cosi’ seguendo il proprio orientamento sessuale (ne’ patologico, ne’ illegale), non abbia alcuna giustificazione razionale,soprattutto se raffrontata con l’analoga situazione delle persone transessuali, che, ottenuta la rettificazione di attribuzione di sesso in applicazione della l. 14-4-1982 n. 164 possono contrarre matrimonio con persone del proprio sesso di nascita”.
Il Tribunale supera agevolmente le motivazioni, fondate prevalentemente su ragioni culturali e religiose, finora accampate per vietare i matrimoni fra persone dello stesso sesso. Quando si discute di diritti fondamentali il ricorso ad argomentazioni fondate sulla "natura" piuttosto che sull’"etica" cela spesso intollerabili discriminazioni: “si pensi alla disuguaglianza tra i coniugi nel diritto matrimoniale italiano preriforma e al divieto delle donne di svolgere alcune professioni, entrambi fondati sulla convinzione che le donne fossero naturalmente piu’ deboli; ancora, nell’esperienza anche attuale di altri Paesi, vanno ricordati il divieto di contrarre matrimoni interrazziali o interreligiosi e la punizione di atti sessuali tra omosessuali anche se privati, giustificati con la contrarieta’ all’etica, alla tradizione o addirittura alla religione”.
L’art. 29 della Costituzione non tutela la “tradizione” ma la “famiglia” come societa’ naturale, dove quest’ultima espressione non deve essere intesa in senso animalesco o biologico, ma -come sottolineato gia’ dall’Assemblea Costituente che ha redatto la Costituzione italiana- piuttosto come struttura giuridica il cui processo di formazione si evolve nel tempo, adeguandosi al contesto sociale in cui questa realta’ giuridica, di volta in volta, vive. Nell’inerzia del legislatore, la materia e’ ora devoluta alla Corte Costituzionale che potra’ decidere se abrogare le norme del codice civile che nel disciplinare il matrimonio fanno esplicito riferimento a “marito” e “moglie” oppure se interpretare tali norme -in assenza di uno specifico divieto di matrimonio fra persone dello stesso sesso- come idonee a consentire il matrimonio fra omosessuali.
Qui il testo della sentenza del tribunale di Venezia:
http://www.aduc.it/dyn/documenti/allegati/gaytribunalevenezia.doc