Intervista a Marco Cappato per il NRC Quotidiano nazionale olandese. Traduzione a cura di Johannes Agterberg
Ancora una volta, una donna italiana si è dovuta recare in Svizzera per morire dopo non essere riuscita a ottenere l’aiuto medico alla morte volontaria in Italia. Ha chiesto l’aiuto di Marco Cappato, che da vent’anni lavora per la legalizzazione dell’eutanasia
“Il mio corpo è diventato una gabbia. Non sono più autonoma a nessun livello, tranne che nei miei pensieri”. Così ha scritto Paola R., una donna di 89 anni di Bologna affetta da Parkinson, in una recente lettera. L’8 febbraio ha ricevuto un aiuto medico che ha posto fine alle sue sofferenze, ma per farlo ha dovuto affrontare un costoso viaggio in Svizzera. Felicetta Maltese e Virginia Fiume, le due donne che l’hanno portata lì, sono andate a autodenunciarsi dalla polizia, al loro rientro in Italia. Rischiano da 5 a 12 anni di carcere.
L’attivista politico Marco Cappato, con cui Paola R. aveva stabilito il primo contatto, andò con Maltese e Fiume alla polizia. Nonostante non abbia viaggiato con loro in Svizzera, Cappato si è autodenunciato come rappresentante di un’organizzazione che fornisce informazioni e assistenza alle persone in cerca di assistenza medica in caso di morte volontaria. Per vent’anni, Cappato è stato un noto sostenitore del diritto all’eutanasia in Italia. Accompagnando malati terminali in Svizzera, violando deliberatamente la legge italiana e poi consegnandosi alla polizia, Cappato e altri volontari come lui in Italia intendono avviare un dibattito approfondito sul fine vita – nella speranza che ciò si traduca nella legalizzazione dell’eutanasia.
D: Attraverso il vostro attivismo, l’Italia ha già fatto passi verso la legalizzazione. Ma le regole sono complesse. Cosa è permesso ora e cosa no?
“L’eutanasia attiva, come nei Paesi Bassi, dove un medico somministra un farmaco letale al paziente, non è consentita in Italia. Il malato può tuttavia rifiutare la terapia o interromperla, con conseguente morte. Infine, dal 2019, il suicidio assistito è possibile anche in Italia a condizioni rigorose. In alcuni casi, quindi, il paziente può ricevere assistenza a morire autosomministrandosi un farmaco letale.
D: Quali sono queste condizioni rigorose?
“Il paziente deve essere pienamente consapevole della sua decisione, ci deve essere una sofferenza insopportabile e una malattia irreversibile, e il malato deve dipendere da sostegno vitale. Se queste condizioni non sono soddisfatte, il suicidio assistito è ancora punibile fino a dodici anni di carcere. I medici che somministrano un farmaco letale ai pazienti rischiano fino a quindici anni di carcere”.
D: Se il suicidio assistito è già possibile in queste condizioni, perché accompagnate ancora i pazienti in Svizzera?
“Perché quest’ultima condizione – la dipendenza da trattamenti di sostegno vitale – rende senza speranza le loro richieste per ottenere assistenza a morire. Nei Paesi Bassi, due terzi delle richieste di eutanasia provengono da malati terminali di cancro, che non dipendono da un sostegno vitale che li mantenga in vita. In Italia, quindi, non sarebbero ammissibili al suicidio assistito. Sebbene l’eutanasia attiva non sia possibile in Svizzera con l’aiuto di un medico, quest’ultima condizione non esiste”.
“Il suicidio assistito è una pratica comune in Svizzera, ma costa parecchio. I pazienti devono pagare da 10.000 a 12.000 euro per il viaggio e per il loro ricovero. Solo una piccola élite ha quindi accesso a un fine vita dignitoso”.
D: Ha un’idea di quanti italiani vorrebbero l’eutanasia o il suicidio assistito ogni anno?
“Se si prendono le cifre olandesi e le si moltiplica per 3,3, si ottiene un quadro approssimativo di quanti italiani sono coinvolti. Stiamo parlando di circa ventimila persone all’anno. [Nei Paesi Bassi, 7.666 persone hanno richiesto il suicidio assistito o l’eutanasia nel 2021, e l’Italia ha 3,3 volte più abitanti.] Inoltre, gli italiani che vogliono solo informazioni è due o tre volte più grande. Queste sono persone che alla fine potrebbero non scegliere l’eutanasia, ma si sentirebbero più tranquille se sapessero di avere la possibilità di scelta”.
D: Lei viene regolarmente attaccato e le viene detto di non essere così orgoglioso di aiutare le persone a uscire dalla vita.
“Un attacco frontale non mi spaventa, il dibattito è sano. Trovo il silenzio molto più brutto. Questa è la strategia che i nostri avversari preferiscono scegliere. I segretari di partito di destra e di sinistra stanno facendo tutto il possibile per evitare un dibattito in Parlamento e i media italiani li stanno assecondando. Riferiscono ordinatamente su ogni paziente che accompagniamo, e il gioco è fatto. In TV ai segretari di partito non viene chiesto di spiegare la loro posizione a riguardo, non c’è confronto di idee e opinioni su questo tema in Italia”.
D: Perché no? L’influenza del Vaticano è ancora così grande e gli italiani sono ancora troppo cattolici in questo campo?
“La resistenza non è con il popolo. I sondaggi indicano costantemente che otto italiani su dieci sono favorevoli alla legalizzazione dell’eutanasia. L’ostilità è con le classe regnanti, con i partiti, con i media, con le grandi strutture di potere. Il Vaticano non può essere incolpato per il fatto che l’eutanasia attiva non è possibile in Italia, questa è una responsabilità delle parti”
D: Se l’80% è a favore dell’eutanasia, questo include molte voci cattoliche?
“Esatto. I cattolici non sono necessariamente contro l’eutanasia. Il Vaticano non influenza i voti in Italia, ma influenza le reti, il potere, le banche, i finanziamenti. Il freno a mano che le parti hanno messo in atto si spiega meglio con la loro paura di perdere l’approvazione dei poteri dominanti legati al Vaticano”.
D: Come descriverebbe l’Italia in termini di bioetica?
“Chiaroscuro, buio e luce allo stesso tempo. La pillola è legale, così come l’aborto, anche se l’accesso è ostacolato. L’Italia non è il paese laico più aperto e avanzato, eppure importanti libertà individuali sono state conquistate. Il divorzio è diventato legale nel 1970, l’aborto nel 1978 e dal 1982 un cittadino italiano può legalmente cambiare sesso”.
D: L’eutanasia non è ancora una di queste. Come guarda indietro a vent’anni di campagne?
“Nel 2017 ho accompagnato Fabiano Antoniani, noto come DJ Fabo, in Svizzera. Fabo era cieco e paralizzato. Era tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitali. In Italia, qualcuno nelle sue condizioni può ora ottenere legalmente l’assistenza a morire, senza dover andare all’estero. Penso che Fabo sarebbe felice che la sua lotta abbia raggiunto questo obiettivo”.
“Le persone che ho accompagnato non erano disperate. Ricordo il loro buon umore, le loro battute e la loro ironia. Si sentivano come se avessero compiuto la loro vita ed erano sereni. Avere a che fare con queste persone speciali mi ha insegnato molto sul nostro rapporto con la morte”.
L’Associazione Luca Coscioni è una associazione no profit di promozione sociale. Tra le sue priorità vi sono l’affermazione delle libertà civili e i diritti umani, in particolare quello alla scienza, l’assistenza personale autogestita, l’abbattimento della barriere architettoniche, le scelte di fine vita, la legalizzazione dell’eutanasia, l’accesso ai cannabinoidi medici e il monitoraggio mondiale di leggi e politiche in materia di scienza e auto-determinazione.