Era il 1999 e Ron Johnson, cittadino inglese quasi cinquantenne, prese un biglietto aereo e volò fino negli Stati Uniti, dove ad attenderlo c’era una bambina israeliana di dieci anni, affetta di fibrosi cistica. Lisa, così si chiamava quella bambina, aveva urgente bisogno di un trapianto. Johnson aveva letto di lei su un giornale e volle aiutarla. Le donò un lobo del suo polmone. Lisa perse la sua battaglia per la vita agli inizi del 2000.
Nel Regno Unito probabilmente quell’atto estremo di altruismo non sarebbe stato possibile. Rispetto agli States, infatti,dove le donazioni da viventi sconosciuti sono molto diffuse, il sistema inglese presenta un maggior tasso di regolamentazione e questo tipo di donazione richiede un esame caso per caso e un’apposita autorizzazione.
Si chiamano donazioni “samaritane” quelle effettuate da “donatori altruisti viventi”, recentemente legalizzate in Italia. E’ venuto a cadere un tabù, che finora aveva limitato il perimetro della legalità alle donazioni da vivente sulla base di legami parentali o affettivi. Sono già tre i casi di donatori, che si offrono per donare un rene a sconosciuti e a titolo gratuito.
Non sono mancate espressioni di preoccupazione per il rischio di un mercato legale degli organi. Si assume che, in assenza di un vincolo parentale o affettivo, la donazione potrebbe essere guidata da motivi diversi dall’altruismo, quali la ricerca di denaro o di fama. Ma è un assunto che lascia perplessi, non potendosi seriamente ritenere che i donatori legati da vincoli parentali sarebbero più “liberi” e disinteressati rispetto agli unrelated donors.
Come si fa a stabilire che i meccanismi di coercizione e di pressione all’interno di un nucleo familiare lascino i membri così liberi di autodeterminare le proprie scelte? Comunque, pur nutrendosi forti dubbi in merito, si può ammettere che una distinzione assai più fondata sarebbe quella tra donatori volontari e condizionati. Laddove i primi, parenti o perfetti sconosciuti, potranno compiere questo atto di generosità, dopo aver dimostrato, in seguito a un’accurata indagine motivazionale e psicologica, di aver compiuto liberamente e consapevolmente una scelta, che modifica, talvolta in modo irreversibile, il loro corpo.
Non si può trascurare, inoltre, il fatto che chi già oggi volesse vendere o acquistare un organo sul “mercato della disperazione” (io lo giudico tale), può farlo navigando un po’ su internet o informandosi presso quelle agenzie criminali, che puntellano le nostre città sotto la placida giurisdizione italiana. Il mercato nero degli organi è un’agghiacciante realtà, con cui bisogna fare i conti. E’ un mercato florido, che resiste e, a quanto pare, si rinvigorisce in tempi di crisi economica. Poco potrà la legge proibizionista di uno stato. La voglia di vivere e di sopravvivere non si ferma davanti alle ragioni di Creonte.
Secondo i dati dell’OMS risalenti al 2009, un quinto dei settantamila trapianti di rene vengono eseguiti con organi, che arrivano dal mercato nero. Questo non stupisce se pensiamo che dal 2000 la domanda di organi sani è aumentata del 33 per cento, a fronte di una crescita della disponibilità pari al 3 per cento. In Italia le persone che aspettano sono circa novemila. I tempi nelle liste d’attesa possono essere fatali.
I samaritani non risolveranno il problema delle liste d’attesa, ma quello di alcune vite in bilico sì. Per altruismo genuino? Perché fa parte del loro modo di vedere la vita oppure per una smania di esibizionismo? I fini possono essere molteplici e non coincidenti con i nostri. Ma, è il caso di chiedersi, è poi questo quello che conta?
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