Mentre in Parlamento l’iter legislativo langue, sul testamento biologico alcuni comuni si lanciano in repentine fughe in avanti. L’ultima in ordine di tempo è quella di Reggio Emilia e risale a qualche giorno fa. La giunta ha infatti approvato all’unanimità l’istituzione del bioregistro, ossia il registro dei testamenti biologici, su proposta dell’assessore al Welfare Matteo Sassi. «Si tratta di un atto politico rilevante e di una delibera che rispetta le indicazioni del Consiglio e lo stretto legame tra la libertà personale e la responsabilità delle persone, intesa come autodeterminazione di sé e del proprio corpo», è la dichiarazione ideologicamente inappellabile dell’assessore.
Fin dai primi giorni di giugno i cittadini del capoluogo emiliano potranno depositare presso uno sportello del Comune la propria dichiarazione anticipata di trattamento sanitario. Un documento con il quale potranno attestare il «rifiuto a essere sottoposti a cure invasive o a forme di accanimento terapeutico» e nel quale ognuno potrà «esprimere liberamente la propria volontà», depositando copia dello stesso testamento biologico anche da un notaio. E un provvedimento che ha dunque tutta la pretesa di coprire un vuoto normativo, su una materia che però non è evidentemente a disposizione di giunte locali. Ne è prova la previsione della delibera secondo cui chiunque depositi il documento deve nominare un fiduciario – medico, notaio o familiare – che sarà quindi la persona incaricata di far rispettare la volontà espressa nel testamento. Ma è chiaro che senza una legge nazionale un’indicazione del genere non è vincolante per i medici.
«A oggi non esiste una legge che disciplini la materia, come ha mostrato il caso Englaro», ammette Sassi, «ma è altresì vero che non vi è alcuna disposizione normativa che vieti di esprimere le proprie volontà». E dunque a Reggio Emilia, come è avvenuto in altri comuni, giunta e consiglio sembrano assurgere al rango di un Parlamento che codifica questioni eticamente sensibili. Nella delibera si fa riferimento all’articolo 13 della Costituzione, con il quale viene sancito che la libertà personale è inviolabile e alll’articolo 32, dove si stabilisce che nessuno può essere obbligato a un trattamento sanitario se non per disposizione di legge e che la legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana. Si tratta in ogni caso di iniziative dal valore approssimativo giacché non vincolanti in assenza di una legge ordinaria che colmi il vuoto. Più una provocazione, sulla scia delle iniziative radicali, per attirare l’attenzione su una materia delicatissima.
D’altronde se ne contano già numerose: sono esattamente 29 le amministrazioni locali che si sono mosse sul testamento biologico. Da Firenze a Bologna, da Narni a Budrio, ad Alba, Curti (in provincia di Caserta). Senza contare le decine di notai già disponibili, pur in assenza di una legge nazionale, ad accogliere e certificare le volontà degli iscritte, e con l’associazione Luca Coscioni che continua incessantemente a raccogliere firme a sostegno di una legisla-zione molto "spinta" sul diritto alla sospensione delle terapie. A dar forza a questo trasversale e variegato fronte favorevole a un testamento biologico molto aperto contribuiscono d’altronde le posizioni di Gianfranco Fini: «Uno Stato autenticamente liberale», ha ripetuto appena mercoledì scorso il presidente della Camera, «ha un unico obbligo: legiferare nell’assoluto rispetto delle libertà individuali e della dignità della persona. La condizione del malato morente costringe tutti, società civile, istituzioni, il mondo scientifico e religioso, a indagare nel modo più profondo una condizione che assume implicazioni filosofiche e culturali: indagare e decidere sulla vita che non è più vita e sulla morte che non è ancora sopraggiunta».
Fino al giudizio esplicito sul testo ancora in discussione in Parlamento: «Sono del parere che il disegno di legge sul testamento biologico debba evitare l’intromissione del pubblico giudizio nelle vite morenti. Se si eviterà questo, si scriverà una pagina di grande civiltà giuridica». Non c’è dubbio che le posizioni del presidente della Camera registrino su questo punto scarsa popolarità tra i moderati, ma proprio l’assenza di una norma che invece ponga un argine alla gestione arbitraria di malattie terminali e stati vegetativi rischia di favorire iniziative autonome, pur estemporanee, delle amministrazioni locali.
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